Da alcune settimane, sia negli Stati Uniti che in Europa, alcuni commentatori ed esperti sostengono che l’Intelligence americana (ma più in generale anche quella alleata) avrebbe fallito nel valutare la minaccia dell’ISIS. Lo stesso Presidente Obama, peraltro, in un’intervista televisiva di qualche giorno fa avrebbe avallato tale ipotesi ovvero quella di una sottovalutazione da parte dell’Intelligence statunitense del pericolo rappresentato dal gruppo jihadista iraqeno. Ma è davvero così? Davvero si può parlare tecnicamente di un intelligence failure? La responsabilità è davvero dei Servizi americani? Come scriveva ieri il generale Jean, il Presidente Obama sta scaricando sull’Intelligence i propri errori politico-strategici e la sua affermazione “passerà alla storia come il bollettino di Cadorna dopo Caporetto“?
Proviamo a ragionare sulla base dei pochi elementi a noi noti. Le analisi di intelligence sono ovviamente riservate e farsi un’idea di cosa sia realmente successo, di quali report sono stati prodotti e delle conseguenti disposizioni emanate dalla Casa Bianca, è impresa ardua. Mi baserò su questo articolo del New York Times che pubblica una buona sintesi di ciò che è pubblico.
Partiamo dalla teoria. Essa è fondamentale per analizzare correttamente un’ipotesi di fallimento e non cadere in errore. Attualmente lo stato dell’arte è rappresentato dal bel libro di Erik Dahl (qui la review pubblicata sul sito dei nostri Servizi). Come evidenziato anche nell’ambito del panel sugli studi di intelligence del convegno annuale della SISP, affinchè si possa parlare di un fallimento è necessario – sinteticamente ed un po’ schematicamente – o che i Servizi non abbiano fornito al decisore le informazioni necessarie o che il decisore, pur correttamente informato, non abbia agito correttamente. Le ricerche di Dahl, però, chiariscono (a mio avviso senza ombra di dubbio) che, affinchè l’analisi dell’intelligence sia presa in considerazione dal decisore, essa deve essere quanto più specifica e dettagliata possibile. Usando un termine anglosassone deve trattarsi di “actionable intelligence“, intelligence tattica che fornisca al decisore informazioni sul come, dove e quando. L’intelligence di livello strategico, benchè fondamentale sia per i processi di intelligence che per quelli decisionali di livello politico, non è però sufficiente a richiamare l’attenzione di un decisore che è, per definizione, distratto da tanti temi ed è attento a non esporsi politicamente.
Applichiamo quindi tali conoscenze sviluppate dalla ricerca accademica sul caso in oggetto e chiediamoci: l’Intelligence americana ha fornito alla Casa Bianca dei warning tattici sulla minaccia rappresentata dall’ISIS? Leggendo l’articolo del New York Times mi sembra di poter affermare che warning strategici siano stati effettivamente rapportati al Presidente. L’11 febbraio di quest’anno, ad esempio, l’allora direttore della DIA, l’intelligence militare, affermò di fronte al Congresso che “probabilmente l’ISIL avrebbe tentato di conquistare territori sia in Iraq che in Siria nel corso dell’anno“. Peraltro, qualche mese dopo, il direttore dell’NSA ha affermato che la comunità di intelligence aveva sottostimato la trasformazione dell’ISIS da gruppo di gruppo di insorgenti ad organizzazione mirante a conquistare e controllare territorio.
Ora, noi non sappiamo se l’Intelligence americana abbia fornito al decisore intelligence tattica dettagliata e specifica sulla minaccia rappresentata dall’ISIS. Magari sì ma non è noto. Valutando sulla base di quello che sappiamo, però, possiamo azzardare una prima ipotesi ovvero che le informazioni fornite al decisore non fossero sufficientemente specifiche e dettagliate. Questo, ovviamente, non vuol dire che la Casa Bianca non abbia eventualmente commesso errori, anche gravi, di tipo politico-strategico (per me. E’ però possibile affermare che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’Intelligence Community non sia stata in grado di cogliere, o di trasmettere al vertice con sufficiente precisione, dettaglio e tempestività, il cambiamento degli equilibri di forza sul terreno iraqeno.