Tra le tecniche analitiche strutturate che non possono mancare nel bagaglio professionale di un analista gli autori del manuale collocano i c.d. Indicatori. Si tratta in effetti di una metodologia da sempre adoperata dagli analisti di intelligence ed oramai ampiamente consolidata.
Nata in ambito militare come supporto all’analista impegnato nell’early warning (ebbe difatti un grande sviluppo durante gli anni della Guerra Fredda) è stata poi adoperata anche in altri settori: intelligence politica, economica, criminale, ecc.
La letteratura specialistica sugli indicatori è vastissima ma in particolare segnalo – come già ho fatto in passato – il testo della Grabo (qui in pdf) che considero uno dei migliori sull’argomento. La materia è però trattata pressochè sistematicamente in qualunque testo di analisi o di teoria dell’intelligence.
Cosa sono gli indicatori?
Heuer e Pherson li definiscono (pag. 132) come “observable phenomena that can be periodically reviewed to help track events, spot emerging trends, and warn of unanticipated changes“. Si tratta, in breve, di una lista di eventi, azioni, fatti che si ritene possano o debbano precedere o accompagnare il verificarsi di un determinato avvenimento/scenario, di livello strategico o tattico, di tipo militare o politico o economico o criminale. Una guerra, un attacco militare convenzionale o non convenzionale, un attacco terroristico, un colpo di stato o un cambio di leadership, una crisi politica o economica, un omicidio, una guerra di mafia, un traffico di sostanze stupefacenti, ecc.
La lista viene predisposta dal singolo analista o dall’intero team dopo un’attenta attività di analisi identificando gli eventi, fatti, azioni che dovranno essere monitorati. Eventi, fatti, azioni al verificarsi dei quali l’analista saprà che quel dato avvenimento (guerra, attacco, crisi, ecc) sta per avvenire o è avvenuto.
Un semplice esempio può forse aiutare a capire meglio.
Mettiamo che l’Intelligence militare dello Stato A debba sorvegliare le mosse delle Forze Armate dello Stato B nel timore di un’aggressione di tipo convenzionale.
Il Servizio dello Stato A predispone una lista di indicatori costituita da azioni (o da eventi) che l’Esercito dello Stato B dovrebbe compiere (o che si dovrebbero comunque verificare) prima di scatenare l’offensiva:
– intensificazione delle attività di raccolta informativa di tipo tattico
– sospensione o annullamento delle licenze per il personale
– spostamento sul confine delle truppe d’assalto
– spostamento sul confine delle truppe corazzate
– rafforzamento delle linee di rifornimento
– potenziamento delle riserve di carburante
– intensificazioni delle comunicazioni tra le unità
– intensificazioni degli incontri tra la leadership politica
– avvio di attività di deception
– ecc…
La lista può essere veramente molto ampia e può comprendere sia indicatori tattici che strategici, sia militari che politici ed economici. Una volta identificati questi devono essere attentamente monitorati poichè il loro realizzarsi indicherebbe, appunto, che si sta andando verso quel dato scenario (nell’esempio: l’attacco militare).
Ovviamente non tutti gli indicatori hanno lo stesso valore “diagnostico”. Non tutti gli indicatori, cioè, puntano con la stessa forza verso quel dato scenario.
Lo spostamento delle truppe d’assalto al confine, ad esempio, è maggiormente indicativo (=diagnostico) di un imminente attacco rispetto a quanto non lo sia l’intensificarsi di incontri tra i leader politici dello Stato B.
E’ quindi necessario che gli indicatori vengano classificati e valutati (rating) in base alla “diagnosticità” e cioè alla forza con la quale indicano quel determinato scenario (si parla anche di indice di rischio). Viene quindi attribuito a ciascun indicatore un valore (ad es. da 0 a 9).
Nella vita reale, inoltre, un dato indicatore è generalmente compatibile con più possibili avvenimenti/scenari (l’intensificazione degli incontri tra leader può essere indicatore sia di un attacco militare che di un’imminente crisi politica interna) ed è quindi necessario tenere conto di ciò valutando la “diagnosticità” di ciascun indicatore con ciascuno degli scenari possibili.
Nell’attività reale di un Servizio di Intelligence, quindi, la tecnica degli indicatori è molto più complessa e sofisticata. Le liste sono plurime e composte da svariate decine di indicatori, diversi sono gli scenari e diversi sono i ratings che vengono effettuati sugli indicatori.
Per avere un’idea della complessità è possibile fare un giro nel sito del Country Indicators for Foreign Policy di cui qualche Servizio di Intelligence si serve per monitorare la stabilità politico-sociale di Paesi a rischio di conflitto.
Proprio per la complessità della procedura usualmente vengono adoperati appositi software che semplificano all’analista la gestione degli indicatori.
Il successo della tecnica è ovviamente direttamente collegato alla qualità degli indicatori stessi.
Heuer e Pherson propongono alcuni criteri che dovrebbero guidare nella scelta degli indicatori. In particolare, ciascun indicatore dovrebbe essere:
a) “Observable and collectible”
b) “Valid”
c) “Reliable”
d) “Stable”
e) “Unique“.
Gli indicatori inoltre devono essere riesaminati periodicamente per valutarne la loro validità.
Un esempio banale. Se l’Esercito dello Stato B ad un certo punto decide di smantellare le proprie truppe d’assalto l’apposito indicatore di cui sopra non avrà più alcuna validità e dovrà quindi essere eliminato dalla lista. Lo stesso discorso vale per i ratings i quali devono essere periodicamente rivisti per verificarne il livello di “diagnosticità”.
Le liste, in sostanza, non sono statiche ma in continua evoluzione. Una volta create devono essere aggiornate di continuo ed è proprio questo uno degli elementi di forza (o viceversa di debolezza) della tecnica in oggetto.
Gli indicatori forniscono all’analista degli elementi certi verificabili e monitorabili che, da un lato, contribuiscono a limitare le distorsioni cognitive tipiche della mente umana, dall’altro permettono di cogliere quel tipo di cambiamenti che per loro caratteristiche intrinseche tenderebbero a non essere colti dall’analista.
“The human mind“, scrivono gli autori, “sometimes sees what it expects to see and can overlook the unexpected. Identification of indicators creates an awarness that prepares the mind to recognize early signs of significant change. Change often happens so gradually that analysts don’t see it, or they rationalize it as not being of fundamental importance until is too obvious to ignore. Once analysts take a position on an issue, they can be reluctant to change their minds in response to new evidence. By specifying in advance the threshold for what actions or events would be significant and might cause them to change their minds, analysts can seek to avoid this type of rationalization“.
– continua –