di G. Cucchi, da " Governare per… "
Il genio nucleare non vuole più rimanere confinato all’interno della sua bottiglia. Si agita, scalpita, fa capolino dal tappo, sparisce per qualche giorno o qualche settimana, riappare nell’attimo in cui la sua comparsa è più inaspettata o più scomoda, sfugge ad ogni controllo. Solo di tanto in tanto riusciamo ad intravederlo magari inserito nella complessa ragnatela di ricatti tessuta da un rogue state o impegnato ad annodare legami con la malavita internazionale o mentre flirta con un qualsiasi movimento terroristico. Poi sparisce di nuovo e noi ci culliamo in un’angustia di mano in mano più acuta e ormai prossima a superare i limiti raggiunti nel periodo del confronto nucleare dei blocchi quando l’olocausto nucleare appariva ad ogni istante come una possibilità immanente e concreta.
E pensare che alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, nel momento in cui firmammo e ratificammo tutti insieme il Trattato di Non Proliferazione Nucleare (Non Proliferation Treaty o Npt o Tnp) ci eravamo illusi di avere almeno imbrigliato questo genio maligno attraverso un accesso alla tecnologia nucleare ad uso militare limitato ad un ristrettissimo numero di Stati – “Potenze Nucleari” li chiamava pomposamente il Tnp! – che offrissero ogni possibile garanzia di stabilità politica ed istituzionale. Negli anni successivi la realtà ha però dimostrato quanto sia illusorio coltivare speranze non supportate da adeguati strumenti. Un concetto che Teodoro Roosvelt, il vecchio Roosvelt, in altri tempi esprimeva sostenendo che è sempre bene “parlare a bassa voce ma avere al seguito un grosso bastone”. Il Tnp era infatti un trattato in molti punti carente. Innanzitutto esso prevedeva che la ratifica non dovesse in alcun modo intralciare lo sviluppo del nucleare a fini pacifici. Le Potenze Nucleari erano anzi tenute ad aiutare lo sviluppo dei firmatari non nucleari in questo settore, facilitandone se del caso l’accesso alle tecnologie critiche. C‘è da meravigliarsi quindi se oggi l’Iran sostiene di muoversi entro i limiti del consentito allorché lo si accusa di aver posto in opera impianti destinati all’arricchimento dell’uranio? O se, in perfetto parallelo, la Russia rifiuta di interrompere quelle forniture a Teheran che essa considera perfettamente lecite e che sono perfettamente lecite perlomeno sino a che ci si attiene alla lettera e non allo spirito del Tnp? Persino gli Stati Uniti, che ricoprono in questo momento il poco invidiabile ruolo di custodi del genio e della bottiglia, sono costretti ad ammettere come in queste condizioni sia del tutto inappropriato parlare di violazione del Trattato. Occorrerebbe invece considerare seriamente l’ipotesi di una sua revisione (dichiarazioni del Presidente Bush de il 15/03/05). In secondo luogo come tutti i trattati il TNP è valido soltanto per una ben precisa categoria di Stati vale a dire per quelli che negli anni hanno ritenuto opportuno firmarlo e ratificarlo. Ciò ha portato alla automatica esclusione dalla disciplina che esso impone di tutti coloro che per una ragione o per l’altra non hanno ritenuto di doversi autoescludere dalla corsa alla proliferazione. Eccezioni certo, ma eccezioni di straordinaria importanza se si considera come in questa categoria rientrino protagonisti di assoluto rilievo come Israele, l’India ed il Pakistan. Tutti e tre divenuti, nel filo degli anni , membri del club delle potenze nucleari. In ogni caso poi anche se si è tra i firmatari del Trattato il Tnp prevede – ed è questa la terza delle sue debolezze – una comoda via di uscita nel caso in cui si cambi idea. Basta infatti denunciare la volontà di recesso ed in tre mesi si è fuori, liberi di imboccare qualsiasi strada si sia deciso di prendere, ivi compresa quella della proliferazione. L’intenzione di recesso, autentica o enunciata a fini esclusivamente politici che essa sia, serve poi mirabilmente da strumento di ricatto. Lo sa molto bene la Corea del Nord che per un lungo periodo ha tenuto in tensione la comunità internazionale con il suo “ esco /non esco” dal Tnp. Infine due altri punti, forse i più importanti di tutti. In primo luogo il fatto che il Tnp identifica adeguati strumenti di controllo senza però prevedere nel contempo alcuna sanzione concreta nei riguardi di eventuali violatori. Si tratta evidentemente di una lacuna intenzionale. Non si riesce infatti ad immaginare quali possano essere le sanzioni che la comunità internazionale sarebbe eventualmente in grado di decidere ed applicare nei confronti di un reprobo. Allorché i tre Stati di cui si è parlato in precedenza sono divenuti nucleari – e due di loro si sono affrettati a proclamare immediatamente con orgoglio quale fosse la loro nuova condizione – le reazioni sono state soltanto di facciata ed i pochi provvedimenti concreti adottati nei loro confronti sono stati cancellati dopo pochissimo tempo, vittime di considerazioni di carattere strategico. In secondo luogo il trattato non prevede alcuna garanzia per le Cosiddette “Potenze non nucleari”. Almeno in linea teorica esse potrebbero quindi essere tranquillamente vittime di un ricatto o addirittura di un attacco nucleare senza che le “Potenze nucleari” firmatarie siano in alcun modo obbligate ad intervenire per difenderle o comunque aiutarle. È ben vero che per alcuni queste garanzie sono sancite in altri fori e fornite nell’ambito di altre organizzazioni. È quanto avviene per tutti gli Stati che non dispongono di potenziale nucleare e sono membri della Nato. Per la maggioranza dei firmatari però un Tnp onusto di tutte queste carenze finisce col configurarsi come un vero e proprio “patto leonino” che comporta soltanto vantaggi per il ristretto circolo di chi goda di uno status nucleare riconosciuto e unicamente svantaggi per tutti gli altri. Si tratta di una condizione già difficile da accettare in tempi normali, allorché la sicurezza collettiva non appare particolarmente a rischio, ma che diviene del tutto inaccettabile quando sopravvengono elementi nuovi destinati a far lievitare in maniera esponenziale il nostro livello di insicurezza reale o percepito che esso sia. Il che in fondo è la medesima cosa.