di Giuseppe Cucchi, da "Governare per…"
La presenza sciita in Medio Oriente
Sconfitti, oppressi, perseguitati, costretti in perenne condizione di inferiorità per più di un millennio, soltanto in rari momenti della storia ed in pochi luoghi gli sciiti sono riusciti prevalere sui cugini sunniti. Fra le grandi dinastie dell’Islam splendente e combattente degli inizi soltanto una è sciita: la dinastia fatimide i cui califfi trasformarono il Cairo in quella città a mezza via fra la realtà ed il sogno delineata poi con dovizia di particolari dalle novelle delle Mille ed una notte. Fra le grandi terre dell’Islam soltanto una, quella dove avvenne la fusione fra la cultura araba e quella sassanide, l’Iran, è incondizionatamente sciita pressoché dalla conquista e tale è rimasta attraverso i secoli. Le differenze religiose si sommarono così a quelle razziali nel configurare l’unicità dell’Iran nel mondo islamico. Una unicità oltretutto potentemente rinforzata dal ricordo di una storia gloriosa, di un passato di grandezza che i persiani non dimenticarono neanche nei secoli più bui.
Identificare il mondo sciita con l’Iran è però un grande errore. Il mondo sciita è molto più vasto, ha confini demografici e geografici più allargati anche se
Nel suo complesso dunque il mondo sciita si presenta dal punto di vista territoriale come una area abbastanza compatta; più o meno un grande fagiolo esteso in longitudine dall’Afghanistan ai porti mediterranei del Libano meridionale, in latitudine dal nord dell’Iran allo Shatt-el-Arab. A questa compattezza territoriale non corrispondevano però sino a pochi anni fa analoghe compattezza e continuità religiosa e politica. La regione si presentava invece molto frammentata da entrambi i punti di vista, in un continuo alternarsi di zone sotto controllo sunnita con altre ove gli sciiti dominavano. Nettamente diverse da come appaiono ora erano, in particolare, le situazioni dell’Afghanistan da un lato, dell’Irak dall’altro. Nel primo dominavano i talibani, etnia pashtun, di religione sunnita, tendenza deobandi. In un simile ambiente gli sciiti erano tollerati ma molto a fatica e con il passare del tempo avrebbero probabilmente anche potuto divenire oggetto di persecuzioni. Nel secondo erano al potere il partito Bath, Saddam Hussein e la minoranza sunnita che li esprimeva, con il risultato che un vero e proprio giogo premeva perennemente sul collo degli sciiti irakeni oggetto, insieme ai curdi del nord del paese, di ogni possibile atrocità della dittatura. A ciò si aggiungeva poi l’estremamente ambigua situazione del Libano ove la presenza siriana – e quindi l’influenza sciita – era bilanciata dal premierato di Rafik Hariri, notoriamente legato a filo doppio ai wahabi sunniti della famiglia reale saudita.
Rottura di un equilibrio
Questo equilibrio, che per quanto assurdo ed instabile era ciononostante riuscito a reggere per un lungo numero di anni, è stato però sconvolto dopo l’11 settembre 2001 da una serie di interventi politici e militari americani che nel loro insieme hanno finito col fornire l’ennesima dimostrazione di come «la via dell’Inferno sia spesso lastricata di buone intenzioni». Al di là di tutti gli altri motivi che possono essere individuati ed elencati per le loro azioni gli Stati Uniti sono stati infatti mossi nei loro interventi di questi ultimi anni principalmente da due idee. La prima era quella di reagire agli attentati dell’11 settembre punendo i colpevoli, ponendo l’estremismo islamico in condizione di non poter più nuocere nel futuro e facendo in modo che esso non potesse più disporre di quei santuari in cui aveva potuto crescere e prepararsi a colpire. La seconda, maturata più lentamente e compiutamente formulata soltanto un paio di anni fa punta invece alla diffusione in tutto il mondo islamico ed in particolare nel mondo arabo della democrazia, considerata come una panacea universale capace di soffocare ogni tentazione di estremismo e di violenza. Come sempre succede le idee si sono tradotte in dottrine e le dottrine in progetti, in azioni ed in guerre. L’Afghanistan è stato tolto ai talibani manu militari e vive ora una stagione di anarchica democrazia ove i Signori della Guerra giocano a fare i rappresentanti del popolo democraticamente eletti ed ove le aree sciite del paese sono in preda ad una deriva che le porta sempre più a identificare l’Iran come un preciso riferimento. Anzi come «IL» riferimento. Non è un caso il fatto che Ismail Khan, il maggiore capo dell’area prima che