La via segreta alla Bomba iraniana passa sotto i grattacieli scintillanti di Dubai, la mecca commerciale del Golfo. A tracciarla sono stati uomini d’affari, trafficanti d’oro e il re del mercato nero nucleare, il pakistano Abdul Qader Khan. Lo scienziato, oggi agli arresti domiciliari, avrebbe fornito all’Iran, attraverso il suo network segreto, le centrifughe P2 e il disegno per creare una testata atomica. A fornire un indizio, dopo tanti sospetti, è stata una frase del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che ha fatto un esplicito riferimento all’uso delle nuove centrifughe, che hanno una capacità di arricchire l’uranio 4 volte superiore alle vecchie. Per gli esperti americani – citati ieri dal New York Times – è possibile che Teheran abbia creato il classico schema del Piano A e del Piano B. Il primo è quello offerto agli occhi degli ispettori dell’Aiea, il secondo è invece sviluppato in segreto. Così è difficile fare previsioni accurate sui tempi del programma khomeinista. E gli iraniani che sono maestri della taqiya – permette di mentire per una causa giusta – sarebbero riusciti dunque a ingannare la comunità internazionale.
Un’operazione clandestina resa possibile – sostengono oggi gli analisti – dal lavoro discreto di Khan. Spregiudicato, con buoni contatti, lo scienziato lavora in Olanda per alcuni anni. Poi torna a Islamabad con una moglie olandese e un pacco di documenti riservati legati al nucleare. Khan è determinante nello sviluppo dell’atomica pachistana e lo è altrettanto nel piazzare tecnologia a chi è disposto a pagare. Vende a Libia, a Corea del Nord, più tardi esplorerà affari con i qaedisti.
Il cliente più interessante e interessato è però l’Iran. Teheran, nel 1991, contatta Islamabad per siglare un accordo, ma incontra un rifiuto. Passano appena tre anni ed è Khan a offrire agli ayatollah le centrifughe P1 e P2. Sono anni intensi. Di affari, manovre, missioni segrete. Nel periodo 1994-99 si verificano non meno di 14 incontri tra membri del network Khan e emissari iraniani. Il luogo preferito è Dubai, grande centro di scambi. Il pakistano ha creato in città una società – la Smb – affidata allo srilankese Abu Tahir (detenuto in Malaysia). La ditta è solo una delle compagnie-ombra presenti a Dubai. Khan visita gli uffici sul Creek, il canale nel centro della città, per trafficare tecnologia e fare investimenti. Dicono che abbia investito decine di milioni di dollari nel boom degli Emirati, una esplosione commerciale dove si mescolano modernità e vecchi sistemi.
Dubai è il luogo ideale per chi ha qualcosa da vendere. E nessuno fa domande. Sarà per questo che dal 1999 al 2005 Khan visita la città ben 41 volte. Un testimone ha raccontato di aver visto una volta un inviato iraniano portare in un appartamento una valigia con tre milioni di dollari destinati al pakistano. Montagne di denaro – affermano fonti locali – che Khan ha fatto poi lavare dai mercanti che vendono l’oro, non lontano dal porto.
Lungo questa via tortuosa i trafficanti hanno fatto arrivare agli iraniani tecnologia importante. Fonti occidentali ritengono che una parte sia stata destinata al centro di Natanz, oggi considerato il cuore del programma. Ora l’Aiea vuole capire se realmente Teheran ha messo in funzione le centrifughe P2. Fino ad oggi i mullah avevano affermato di aver rinunciato al loro uso per problemi tecnici, ma le parole di Ahmadinejad hanno fatto scattare l’allarme. Non meno interessanti le scoperte dell’intelligence. Foto satellitari hanno rivelato l’ampliamento – con un nuovo tunnel – dei laboratori sotterranei di Isfahan e il rafforzamento delle protezioni a Natanz. Dati che saranno esaminati dal direttore dell’Aiea, Mohammed ElBaradei, prima di presentare il suo rapporto il 28 aprile. Ed è curioso assistere allo strano scambio di ruolo. Il responsabile Aiea – che veste i panni del pubblico ministero – dice che esistono poche prove sulle violazioni iraniane mentre gli ayatollah fanno di tutto per essere «incriminati». Quasi che cercassero in modo deliberato la punizione, perchè sono convinti che gli Usa hanno molto da perdere da una nuova avventura militare. Ieri sera, l’ambasciatore iraniano a Mosca, Gholamreza Ansari, ha promesso il massimo sforzo diplomatico, ma ha avvertito che il suo Paese, in caso di attacco, «è pronto alla guerra».
di G. Olimpio, dal Corsera