Le tecniche strutturate – ottava parte

Le ultime tre tecniche che esamineremo sono inserite all’interno della sezione “Challenge Analysis” e sono definite “Reframing Techniques” trattandosi di procedure che hanno come scopo quello di sfidare, per così dire, i modelli mentali (frames) attraverso i quali l’analista interpreta la realtà.
Carina la descrizione che gli autori fanno dei meccanismi cognitivi e di come tali tecniche possono incidervi.

Reframing helps analysts break out of a mental rut by activating a different set of synapses in their brain. To understand the power of reframing and why it works, it is necessary to know a little about how the human brain works. The brain is now believed to have roughly 100 bilion neurons, each analogous to a computer chip capable of storing information. Each neuron has octopus-like arms called axons and dendrites. Electrical impulses flow through these arms and are ferried by neurotransmitting chemicals across the synaptic gap between neurons.
Whenever two neurons are activated, the connections, or synapses, between them are strengthened. The more frequently those same neurons are activated, the stronger the path between them.
Once a person has started thinking about a problem one way, the same mental circuits or pathways are activated and strengthened each time the person thinks about it. The benefit of this is that it facilitates the retrieval of information one wants to remember. The downside is that these pathways become mental ruts that make it difficult to see the information from a different perspective. When an analyst reaches a judgment or decision, this thought process is embedded in the brain. Each time the analyst thinks about it, the same synapses are triggered, and the analyst’s thoughts tend to take the same well-worn pathway through the brain. Getting the same answer each time one thinks about it builds confidence, and often overconfidence, in that answer.

La Premortem Analysis, la prima delle tre “Reframing Techniques“, è stata utilizzata per la prima volta negli anni Novanta da Gary Klein e si basa su un semplice principio: simulare il fallimento dell’analisi appena conclusa effettuando una sorta di post-mortem preventivo (chiaramente allo scopo di evitare di doverne compiere successivamente uno vero).
L’analista, o il team, deve infatti proiettarsi in avanti nel tempo immaginando che la propria analisi si sia rivelata errata. Ciò dovrebbe costituire lo spunto per un riesame del processo analitico alla ricerca di potenziali cause di errore e vulnerabilità.
La procedura descritta nel manuale è piuttosto “leggera”.
In un un meeting esclusivamente dedicato al Premortem ciascun analista è invitato ad individuare ed indicare cosa potrebbe non avere funzionato (= non funzionare) nell’analisi. La tecnica infatti mira a sviluppare nuove prospettive sulla medesima questione (il “reframing“, appunto) identificando “incertezze, problemi, condizioni, alternative” che andrebbero poi valutate con maggiore attenzione.

Un esempio a caso e totalmente inventato…
Il team di analisti guidato da Jack Ryan il giorno 1 settembre 2001 produce un’analisi sulle potenziali minacce terroristiche agli Stati Uniti. Il risultato dell’analisi è che gli USA sono al riparo da attacchi qaedisti.
Conclusa l’analisi inizia il Premortem. Il team si riunisce nuovamente ed a ciascuno viene chiesto di fare fittiziamente un balzo in avanti nel tempo ipotizzando che l’11 settembre Bin Laden attacchi New York e Washington decretando, in tal modo, il fallimento dell’analisi previsionale del team.
Dove sta l’errore (potenziale)?
Il team, che nella realtà è ancora al giorno 1 settembre, dovrà riesaminare la questione come fosse al giorno 11 tentando di individuare i punti deboli (incertezze, problemi, condizioni, ecc) dell’analisi.
Le opinioni dei vari analisti verranno scritte su di una lavagna e saranno oggetto di valutazione e dibattito comune. Individuate le vulnerabilità il team potrà quindi lavorarci su per migliorare eventualmente il prodotto analitico.
Attenzione, però, perchè gli autori sottolineano che non è detto che tale tecnica riesca ad individuare con precisione le vulnerabilità. Il Premortem sarà ugualmente da considerare un successo anche soltanto ove si riesca ad individuare l’esistenza di un generico problema analitico senza ulteriore specificazione.

Un’opinione personale che sottopongo al giudizio dei lettori.
A mio avviso l’utilità principale di una tecnica del genere consiste nello stimolare l’analista a ragionare da diverse prospettive più che nell’ottenimento di un tangibile miglioramento in quella data previsione.
Per dirla in altri termini, il Premortem potrebbe migliorare l’analista, da un punto di vista metodologico/procedurale, più che la singola analisi nell’ambito della quale viene applicato.

continua