… dal Corriere di oggi.
Lo confesso, sono un bastardo: le parti in grassetto le condivido in toto
I tempi del France-bashing sono tornati. Il «dagli alla Francia e ai mangiatori di rane» — scatenato nel 2003 dall’opposizione francese alla guerra in Iraq — riaffiora adesso sui giornali americani (anche liberal) come deliziosa vendetta, come esercizio di innegabile soddisfazione per un’America di nuovo offesa, quest’estate, dalla supponenza francese su Bush e l’uragano Katrina. Che grande piacere prova Anne Applebaum, sul Washington Post, a ricordare le parole di Mitterrand dopo la rivolta nera di Los Angeles, nel 1992. «A Parigi non potrebbe mai accadere — disse il presidente francese — perché la Francia ha il livello di protezione sociale più alto del mondo». «La cecità dei politici francesi potrebbe essere solo ridicola — commenta oggi la Applebaum — ma in effetti illustra il problema: per la Francia gli immigrati semplicemente non esistono». Le tradizionali critiche alla società americana — ingiusta, violenta, volgare — vengono rigettate sulla Francia, e la Applebaum invita gli americani a spedire ai francesi milioni di copie di Le Monde «con la parola "America" sbarrata, negli editoriali, e la parola "Francia" scritta al suo posto».
Sul New York Times, John Vinocur attribuisce la rivolta nelle banlieue alla tradizionale, secolare, genetica arroganza della Francia: «Il contesto è la costante denigrazione da parte dei politici francesi di qualsiasi cosa funzioni altrove, in particolare negli Stati Uniti. Vige un’immodestia generale, diffusa a destra e a sinistra, riguardo un supposto modello superiore di civiltà valido per il mondo, ma che non funziona neppure in Francia».
Più a destra, il Wall Street Journal si distinse in commenti livorosi ai tempi del celebre intervento di Villepin al Consiglio di sicurezza dell’Onu — definito all’epoca un «tradimento» —, e adesso offre gustosi momenti di rivalsa anti-francese. «La rivolta è diventata un momento di illuminazione sulle due sponde dell’Atlantico — si legge nell’editoriale di ieri intitolato "Lezioni francesi" —. Una cosiddetta solidarietà tramite tasse alte, un mercato del lavoro viziato, sussidi all’industria e agli agricoltori, un "ministero della Coesione sociale" (l’espressione vagamente sovietica fa rabbrividire più di un commentatore, ndr), e inevitabili paragoni con lo spaventoso mercato all’anglosassone: è questo il vantato modello sociale francese, e questo modello è in fiamme». I titoli del Wsj sono divertiti: «La Francia deve integrare la sua sotto-classe musulmana. Bonne chance (Buon fortuna, ndr)», oppure «Perché gli immigrati in America non bruciano le macchine». Critiche all’America per l’uragano Katrina? Ora Usa Today può rispondere: «I francesi sono stati molto rapidi nel puntare il dito contro la povertà e l’incompetenza burocratica rivelata negli Usa dall’uragano. Adesso sentono lo squillo della sveglia a casa loro».
Il più cattivo e compiaciuto è lo storico Victor Davis Hanson, professore alla Hoover Institution e firma della rivista conservatrice National Review, appena tornato da un viaggio di tre settimane in Europa: «I giornali sono pieni di gioia per il caos americano post-Katrina. Ovunque c’è un malcelato piacere per la supposta "palude sull’Eufrate". Uno legge queste storie sulle patologie americane in caffè dove magliette, musica, pubblicità e marchi americani invadono i sensi (..); i francesi apparentemente pensavano di compensare il trattamento da cittadini di quarta classe riservato ai loro musulmani con l’appoggio tacito ad Hamas. Ora l’intifada è alla periferia di Parigi».
Stefano Montefiori