di Maurizio Molinari e Paolo Mastrolilli, pubblicato oggi su La Stampa:
"L' Eni ha recentemente annunciato un accordo con la Gazprom, in base al quale darà ai russi accesso ai campi di gas naturale in Africa del Nord, in cambio di un aumento dell'accesso dell'Eni ai giacimenti di gas in Russia. Commento: il gas naturale nordafricano viene spesso visto come un'opportunità per l'Italia e l'Europa di diversificare ed evitare la dipendenza dal gas russo. Dare alla Gazprom il controllo dei campi in Africa del Nord danneggia chiaramente gli sforzi di diversificazione energetica dell'Unione Europea».
Colpisce la franchezza con cui parla l'ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, in questo dispaccio classificato come «confidential», di cui «La Stampa» è entrata in possesso nel rispetto delle leggi federali. Il rapporto viene scritto nell'aprile del 2008 e spedito con procedura prioritaria direttamente al segretario di Stato, Condoleezza Rice. Per conoscenza, il documento raggiunge anche il Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca e il dipartimento al Tesoro.
In Italia Silvio Berlusconi ha appena vinto le elezioni e si appresta a formare il suo quarto governo, che entra in carica l'8 maggio. In vista del cambio di amministrazione, Via Veneto informa Washington su una delle questioni prioritarie per gli interessi nazionali americani: la politica energetica di Roma, che attraverso l'Eni intreccia gli affari conclusi in Russia con quelli tradizionalmente condotti in Africa settentrionale, a partire dalla Libia.
Temi che tornano di grande attualità in questi giorni, alla vigilia del vertice di domani all'Onu in cui si discuterà proprio della ricostruzione dell'ex colonia italiana, dopo la rivolta che ha scalzato Gheddafi da Tripoli. Solo venerdì scorso l'Eni ha confermato la decisione di cedere alla Gazprom la metà della sua quota del 33% nel giacimento petrolifero libico Elephant, procedendo quindi con la politica della porta aperta a Mosca che tre anni fa Washington contestava.
Il rapporto dell'aprile 2008, infatti, si apre con parole molto chiare: «L'ambasciatore Spogli ha discusso della sicurezza energetica con un gruppo guidato da Giulio Tremonti, l'uomo che secondo le attese più diffuse è destinato a diventare il ministro dell'Economia di Silvio Berlusconi. L'ambasciatore ha parlato del pericolo dell'eccessivo affidamento alla Gazprom, e della necessità di diversificare le fonti energetiche dell'Europa. Il gigante italiano (e parastatale) Eni non è stato menzionato esplicitamente nel discorso, ma sa che stavamo parlando di lui».
Infatti la diplomazia del cane a sei zampe si mette subito in moto: «Alcuni rappresentanti dell'Eni ci hanno chiamato immediatamente, chiedendo la possibilità di "chiarire gli equivoci" relativi al loro rapporto con i russi.
Un vice presidente della compagnia ha fatto un briefing con il nostro consigliere economico, di cui riportiamo a parte. Più tardi l'amministratore delegato dell'Eni, Paolo Scaroni, ha chiamato l'ambasciatore, chiedendo aiuto per organizzare degli incontri a Washington per il 5 e il 6 maggio. Scaroni era andato a Bruxelles il 16 aprile scorso come parte dello stesso tentativo di "chiarire gli equivoci"».
Spogli non sembra convinto degli argomenti usati dai responsabili della compagnia italiana, e spiega il perché al segretario di Stato Rice e agli altri interlocutori del governo americano, anticipando in sostanza le tesi che Scaroni porterà negli Usa: «Eni sosterrà che South Stream (il gasdotto progettato con la Gazprom per collegare la Russia all'Europa attraverso il Mar Nero ndr) non minaccia il Nabucco (il gasdotto sostenuto invece dagli americani e dall'Unione Europea, per portare le risorse del Mar Caspio e del Medio Oriente in Austria passando dalla Turchia, proprio allo scopo di diminuire la dipendenza da Mosca ndr)».
Su questo punto centrale, l'ambasciatore si sente quasi preso in giro dagli italiani: «Abbiamo sottolineato all'Eni che lo stesso Putin sembra pensarla diversamente (guardare l'Eurasia Daily Monitor del 5 marzo 2008). Inoltre l'amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, ha dichiarato il 25 febbraio scorso che South Stream "elimina" la necessità del Nabucco».
I russi, in sostanza, smentiscono la versione accomodante degli italiani, in questa sfida che pare un domino globale per il controllo delle fonti. Un gioco pericoloso e anche violento, come dimostrerà pochi mesi dopo, nell'agosto del 2008, la guerra esplosa proprio nella stessa regione tra Russia e Georgia. Quindi Spogli ribadisce il pensiero americano: «La nostra posizione riguardo l'impatto di South Stream sulla diversificazione energetica europea è stata spiegata con chiarezza dal vice assistente segretario di Stato Bryza, il 26 febbraio scorso: "Certamente non rafforza la diversificazione. South Stream rafforza la dipendenza da un solo fornitore"».
(…) I dispacci di Spogli non spiegano nel dettaglio come vanno gli incontri di Scaroni a Washington e quale tipo di chiarimento avvenga. All'Eni, però, dicono che sono questioni superate, grazie a una serie di contatti ai massimi livelli proseguiti nel tempo. Il nuovo inviato americano per i problemi energetici nell'Eurasia, Richard Morningstar, ha attenuato le critiche a South Stream, mentre l'ingresso di Gazprom in Libia per il momento riguarda il petrolio e non il gas.
Domani questi temi torneranno sul tavolo del vertice Friends of Libya all'Onu, dove circa ottanta delegazioni discuteranno il futuro del paese, e quindi anche l'accesso alle risorse naturali che devono generare la ricchezza di Tripoli."