Qualche giorno fa un caro amico statunitense mi ha gentilmente regalato alcuni interessantissimi libri. Alcuni appena editi altri d'antan. Tra questi ultimi, con grande sorpresa, ho ritrovato "L'Italia e il Mediterraneo: questioni di politica estera e militare" dell'indimenticabile Carlo Maria Santoro, un testo del 1990 a me già noto.
L'ho riletto trovandolo, sotto molti aspetti, attuale. In parte a causa della nota lucidità analitica dello scomparso Autore, in parte, purtroppo, a causa della staticità del nostro sistema, lentissimo a modificarsi per adeguarsi ai cambiamenti del contesto strategico. Gli esempi sono tanti ma uno in particolare mi ha fatto sorridere (amaramente…).
Scrive Santoro nel paragrafo dedicato agli strumenti della politica estera e di difesa (ovvero Ministero degli Esteri, Forze Armate e Servizi): "Resta comunque aperta una questione di fondo, che investe non solo l'iniziativa italiana verso il bacino del Mediterraneo, ma anche il più vasto campo della politica estera e della politica di sicurezza nazionale, quella della costituzione di un Consiglio di Sicurezza Nazionale, cioè di un organo deliberante che non solo riconosca al governo dei poteri più direttamente operativi in caso di crisi, ma rappresenti anche, come accade in altri Paesi occidentali (Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania Federale), 'un modo diverso di condurre l'attività di governo, tenendo cioè in maggior conto le esigenze funzionali anzichè quelle della presenza politica, destinata solo a costruire il consenso'. L'esistenza di un organo di questo tipo potrebbe infatti svolgere delle funzioni di coordinamento politico al massimo livello, tali da corrispondere al necessario coordinamento operativo e tecnico dei Ministeri interessati sulle questioni della politica della sicurezza.
Va tuttavia aggiunto che una struttura così concepita potrebbe svolgere delle funzioni (…) anche nell'ambito più generale della politica estera del Paese in quanto tale. (…) Non esiste però, allo stato attuale, una sede istituzionale decisionale e operativa nell'ambito della quale risolvere le questioni trasversali della politica estera, quelle cioè che tagliano diagonalmente le competenze delle molte agenzie pubbliche interessate alla stessa materia da punti di vista differenziati.
La 'Foreign Policy Community' si trova infatti spesso a confliggere, o a sfiancarsi, di fronte a doppioni inutili per la mancanza di un foro comune di discussione e di decisione adeguato.
(…) Il coordinamento, nonchè la ristrutturazione istituzionale e operativa di questa situazione molto mercuriale non è quindi più rinviabile."
Era il 1990…