Da Repubblica.it, di Carlo Bonini.
"Se ha ragione il nostro Servizio di controspionaggio (Aisi) e le informazioni di cui dispone sono attendibili, nel buio pesto della crisi tunisina si agita un fantasma chiamato Libia. Il "nostro" gendarme sull'altra sponda del Mediterraneo, conquistato all'amicizia di Roma con accordi bilaterali di investimento per quattro miliardi di euro, torna a mostrare le sue doppiezze. Ha taciuto nelle scorse settimane informazioni cruciali su flussi migratori diretti dal deserto libico verso il confine tunisino. E mai come in queste settimane le decisioni del regime di Tripoli appaiono governate da un'unica bussola: mettersi al riparo dal contagio delle piazze di Tunisi e del Cairo.
Lunedì sera, al Viminale, durante la riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, il direttore dell'Aisi, Giorgio Piccirillo, non ha usato né perifrasi né particolari diplomazie. E – per quanto ne riferiscono fonti qualificate presenti all'incontro – il documento di analisi che ha illustrato al ministro dell'Interno Roberto Maroni ha indicato proprio nelle mosse e nel futuro del regime di Muhammar Gheddafi il possibile punto di avvitamento e non ritorno della nuova crisi dei migranti.
"Le informazioni che abbiamo raccolto – è stato l'incipit di Piccirillo – ci dicono che il movimento di immigrazione clandestina dalla Tunisia è cominciato in modo spontaneo e polverizzato". Un flusso disordinato – e tutto sommato non macroscopico nei numeri – verso il porto di Zarzis. Poi, qualcosa è cambiato. E quel qualcosa, non appare neutro. La gestione del contrabbando di carne umana "è passata nella mani di organizzazioni di trafficanti, particolarmente competitive perché legate a filiere logistiche marocchine, nigeriane e libiche". E la "finestra tunisina" è apparsa "un'opportunità politica per il regime di Tripoli", anche e soprattutto in chiave di "regolatore sociale ad uso interno". Secondo le informazioni del nostro controspionaggio, il confine libico-tunisino è stato infatti attraversato da "flussi migratori provenienti dalla Libia, costituiti in parte da evasi dalle carceri locali". Una circostanza "taciuta" a Roma dal regime di Muhammar Gheddafi.
Insomma, come in passato, il Rais di Tripoli torna ad alzare e abbassare la diga del Maghreb in ragione di un pressante interesse nazionale. Ieri, quello di mettere pressione al nostro Paese e convincerlo a pagare profumatamente la quiete del Mediterraneo. Oggi, per svuotare rapidamente la Jamairiha da masse di diseredati e oppositori capaci di veicolare e moltiplicare il contagio tunisino ed egiziano. Del resto, le poche informazioni che arrivano da Tripoli attraverso la rete e il sistema dei social-network (informazioni per altro ritenute attendibili dall'Aisi), raccontano di una pressione interna per la prima volta "visibile". Di rivolte scoppiate il 15 gennaio scorso a Wani Balid, 180 chilometri a sud-est della capitale, con centinaia di disperati che hanno dato l'assalto ad abitazioni popolari ancora da assegnare. Di generici focolai di insurrezione nelle zone orientali del Paese (Twitter). E ancora: di "epurazioni" dei quadri ufficiali dell'Esercito (ne ha dato notizia il "Fronte nazionale per la salvezza della Libia"). Mentre il 5 febbraio, un appello on-line, firmato ancora da gruppi di opposizione clandestina, ha indicato nel 17 di questo mese, domani, la "Giornata della Collera libica".
La risposta di Gheddafi, almeno quella pubblica, è stato l'annuncio al Paese di un piano edilizio da 27 milioni di dollari da completare entro il 2014 e nella mossa – osservano ancora gli analisti del nostro Servizio interno – va letto "un timore, pure sempre pubblicamente negato, che l'ondata rivoluzionaria maghrebina possa coinvolgere la classe media e la popolazione dei giovani libici". Anche se la vera forza del Rais (oltre ad un controllo molto saldo sull'esercito) resta lo scenario da incubo con cui, da sempre, tiene in ostaggio le cancellerie occidentali. E che, lunedì sera, non a caso, il direttore dell'Aisi è tornato ad evocare nel corso della riunione del Comitato nazionale per la sicurezza: "Un improvviso cedimento libico, concentrando tutti i flussi migratori interetnici del Corno e del centro-Africa, determinerebbe un esodo di proporzioni difficilmente sostenibili".
Aggiornamento (17.03) – "Ecco perchè Gheddafi non deve cadere", di Fausto Biloslavo (Il Giornale):
"Lunedì scorso si è riunito al Viminale il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. Nessuno avrebbe incolpato il governo libico di tramare per favorire i nuovi arrivi dei clandestini, come ha scritto ieri Repubblica. I nostri servizi segreti, invece, temono «un esodo (verso l’Italia nda) di proporzioni difficilmente sostenibili», se il regime libico venisse travolto come quello in Tunisia ed Egitto"