dal Foglio del 17 maggio, di Anna Barducci
Roma. “Niente di buono uscirà fuori da queste elezioni per Israele”, così titola l’articolo Danny Rubinstein, analista israeliano, su Haaretz, riferendosi alle legislative palestinesi. Il testa a testa tra Hamas e Fatah alle municipali del 5 maggio, in 76 Comuni della West Bank e in otto di Gaza, ha visto sia la vittoria del presidente Abu Mazen sia un’affermazione del gruppo armato in centri importanti come Qalqilyia e Betlemme, che da roccaforte cristiana, si sta trasformando in centro di sostenitori dei movimenti islamici. Nel primo round delle municipali, iniziato a dicembre in Cisgiordania, Fatah aveva guadagnato il maggior numero di seggi, nonostante il gruppo armato avesse ottenuto un ottimo risultato.
Nelle elezioni di gennaio a Gaza, invece, Hamas aveva vinto con il massimo dei voti. In questi giorni – mercoledì si decide – nell’Autorità nazionale palestinese si discute se posporre o no le legislative previste per il 17 luglio. Hamas ha infatti buone chance, se non di battere Fatah, di diventare un forza chiave all’interno dell’Anp. Il gruppo islamico ha però già fatto capire che rimandare le elezioni significa violare gli accordi raggiunti al Cairo sul “cessate il fuoco”.
“Se Hamas parteciperà alle legislative, mantenendo il suo braccio militare – ha detto Raanan Gissin, consigliere del premier israeliano Ariel Sharon – non ci sarà alcuna possibilità di andare avanti col processo di pace”. Abu Mazen però non vuole né arrivare allo scontro col gruppo armato né vuole un intervento israeliano. “La cosa strana”, dice Ze’ev Schiff, analista militare, “è che il rais non reagisce nemmeno contro i piccoli movimenti, che violano la tregua.
Non stupiamoci, quindi, se qualcuno in Israele sospetta che ci sia un accordo segreto tra Hamas e alcuni gruppi di Fatah”. Secondo Kenneth Stein, docente di Storia contemporanea del medio oriente alla Emory University di Atlanta, l’esito delle elezioni dipenderà dalla strategia di Abu Mazen.
“La maggior parte della popolazione è s anca della vecchia guardia, così come della corruzione che dilaga in Fatah – dice al Foglio Stein – Hamas, grazie anche al monopolio dei servizi sociali, rappresenta l’unica scelta possibile. La carta vincente di Abu Mazen potrebbe essere quella di presentare volti nuovi”. Hamas vuole ottenere quello che ha avuto Arafat: “In una mano tenere stretta la pistola e con l’altra gestire il potere”. Stein afferma però che il gruppo terroristico “potrebbe scendere a compromessi una volta al potere”. Molti a Gerusalemme non sembrano esserne convinti: Hamas ha dimostrato di essere sì capace di fare scelte anche pragmatiche, ma di non volere abbandonare la lotta contro Israele. “La tahdiah (la calma) è solo un escamotage all’interno dei nostri piani di resistenza”, ha affermato Khaled Mashaal, leader di Hamas a Damasco. Sul canale degli Hezbollah, al Manar, Mahmoud al Zahar, capo del gruppo a Gaza, ha ribadito: “La liberazione della Palestina dal Mediterraneo alle rive del Giordano è una sacra verità in cui noi crediamo”. “Hamas – dice Stein – vuole ottenere i ministeri del Culto religioso, dell’Interno e probabilmente anche degli Affari sociali”.
Ma il Ministero del Culto controlla le moschee, dalle quali quasi ogni venerdì viene letto un sermone contro lo Stato ebraico.
“Il ritiro da Gaza sarà un evento storico. Il problema sarà vedere quello che accadrà dopo che Israele lascerà Gush Katif. Abu Mazen dovrà essere capace di gestire la sicurezza nei territori. I palestinesi, il 9 di gennaio, hanno avuto per la prima volta elezioni democratiche.
La democrazia da sola però non sfama un popolo e il rais, per mantenere il potere, deve garantire uno sviluppo economico adeguato”, conclude Stein. Intanto Abu Mazen ha affermato che non rinuncerà mai “al legittimo diritto del ritorno dei rifugiati” e si è chiesto, al summit tra paesi arabi e sud americani di Brasilia, se Israele creda nella democrazia.
Da Tunisi si fa sentire anche Farouq Qaddumi, leader di Fatah, affermando che le relazioni con il rais, accusato di essere sottomesso ai diktat israelo-americani, sono seriamente rovinate. Abu Mazen è solo, ha migliorato la sicurezza, ma i missili continuano a cadere su Israele. Sharon accusa inoltre il rais di non aver smantellato le organizzazioni terroristiche. A Gerusalemme si auspica un incontro tra i due leader, prima del viaggio di Abu Mazen a Washington, il 26 di maggio.