Un'intervista a Ian Bremmer, dal Corriere.it:
«La crescita strategica della Cina è senz’altro la questione più importante di questo secolo non soltanto per gli Stati Uniti ma per l’intera comunità internazionale. Detto questo, non sarei più di tanto preoccupato per quanto sta attualmente avvenendo in Asia Orientale: non ci sono vere micce accese nell’area, i governi sono o democratici o comunque ben saldi al potere. Nessuno ha davvero bisogno di reagire eccessivamente alle richieste di stampo nazionalistico delle opinioni pubbliche. Per ora questa parte di mondo resterà stabile».
Ian Bremmer, fondatore e capo di Eurasia, il principale centro di ricerca specializzato in rischi geopolitici, molto attento ai fenomeni estremorientali, ritiene che una guerra per il controllo degli atolli del Mar Cinese Meridionale «non sia all’orizzonte».
Eppure, nonostante l’attenzione mondiale sia tutta sul Medio Oriente, quanto avviene nel Sud-Est asiatico non può non suscitare preoccupazione…
«Intendiamoci, è assolutamente vero che Pechino continua nella sua opera di militarizzazione degli atolli mentre Washington è molto attiva con sempre nuove “esercitazioni” con i Paesi dell’area e altri segnali della sua volontà di mantenere lo status quo. E poi c’è la Corea del Nord, che ha generato un’altra escalation e spinto Washington a schierare al Sud un sistema avanzato di difesa missilistica. Tuttavia, a differenza del Medio Oriente, qui gli Stati, i governi, funzionano, sono forti. E l’economia, con i suoi alti e bassi, resta in crescita. In questa fase continuerei a mantenere l’attenzione sul Medio Oriente, in fiamme e in grave disfacimento».A suo avviso, le pretese della Repubblica popolare sulla zona di mare e sugli arcipelaghi rivendicati anche dalle nazioni vicine sono giustificate?
«Se uno guarda alle mappe che mostrano quella linea tratteggiata rossa che arriva a lambire le spiagge del Vietnam o dell’Indonesia non può realisticamente pensare che sia giustificata, se non altro per le norme del diritto internazionale. Ma qui siamo di fronte a un altro problema, che attiene alla real-politik: i cinesi sono sempre più potenti e ne sono ben consci. Anche gli Stati Uniti, così come gli altri attori dell’area, hanno compreso che gli equilibri sono cambiati e lo stanno accettando. Tutti. Perché? La forza militare conta. In maniera decisiva. Dunque ci sarà una continua ricerca di un equilibrio nelle forze. Ma, a mio parere, in un contesto di (relativa) stabilità».I Paesi dell’Asean, l’associazione che riunisce i principali attori del Sud-Est asiatico, sono comunque sempre più preoccupati e guardano soprattutto agli Stati Uniti. Persino il Vietnam si è rappacificato con il suo antico nemico…
«È vero. Ma stiamo assistendo da decenni alla crescita di una Potenza sempre meno regionale e sempre più mondiale: la Cina. Per ora i Paesi del Sud-Est asiatico cercano di mantenere buoni rapporti con le due sponde del Pacifico. Ma cosa succederà quando Pechino avrà riformato la sua economia e avrà sperimentato un balzo in avanti? Sarà quello il momento della verità per i diversi poteri politici dell’Asia Orientale».Si potrà contenere la Cina?
«No. Solo con rapporti economici e culturali sempre più stretti si può immaginare un futuro di cooperazione e non di confronto. Oggi le élite cinesi mandano i propri figli a studiare negli Stati Uniti e in Europa. Questi giovani tornano a casa infarciti di cultura e stili di vita occidentali. A questo dobbiamo guardare: l’integrazione. La Cina è troppo grande per essere contenuta».