Il nuovo Re Salman ha effettuato un “rimpasto”, in particolare nella Difesa e nella sicurezza interna. Dal Corriere.it:
WASHINGTON – Davanti alle molte sfide regionali, il nuovo re saudita Salman rafforza il proprio potere con una serie di nomine importanti. Scelte che confermano la linea «dinamica» del sovrano, deciso a incidere in modo deciso all’interno del paese e sulla scena internazionale. Molti osservatori si aspettano nuove iniziative, in Siria e nei confronti dell’Iran.
Il principe
La prima mossa riguarda il posto di principe ereditario. Mukrin, 69 anni, con salute precaria, è stato di fatto sollevato dall’incarico. Lo sostituisce una figura chiave, Mohamed bin Nayef, 55 anni, attuale ministro dell’Interno. Molto vicino agli Usa, ha seguito un corso di intelligence alla Cia e alla «scuola» di Taif, è il tenace avversario di al Qaeda. Infatti i terroristi hanno cercato di eliminarlo con un kamikaze che aveva una micro-bomba nascosta all’interno del suo corpo. È certamente un personaggio risoluto e destinato a crescere ancora. Vice principe ereditario sarà invece Mohamed bin Salman, 30 anni, figlio del re, responsabile della Difesa. Per quanto giovane e poco conosciuto, gli hanno affidato un ruolo primario e ora guida la campagna militare nel vicino Yemen. Un’offensiva che però ha portato a risultati scarsi.
Le nomine
L’altra nomina significativa riguarda la guida della diplomazia. Il ministro degli Esteri Saud al Faysal, in carica da decenni, deve lasciare la poltrona all’attuale ambasciatore negli Usa Adel al Jubeir, protagonista di molte iniziative dietro le quinte e grande tessitore dei rapporti con gli americani. Poliglotta, 53 anni, con studi in Texas e alla Georgetown University, il diplomatico ha gestito la fase non facile nelle relazioni con la Casa Bianca. Considerato vicino al re, sempre molto presente sulla scena mediatica statunitense, ha costruito relazioni politiche fondamentali. Nel 2011 l’Fbi ha annunciato di aver sventato un piano per assassinarlo all’interno del ristorante Cafè Milano di Washington. Un’operazione organizzata dai servizi di Teheran (o da una parte di essi) e per la quale è stato condannato un americano d’origine iraniana.
I fronti caldi
Il rimpasto deciso dal sovrano coincide con un momento delicato per il regno. Tre i fronti caldi: l’Iran, lo Yemen e lo scontro sunniti-sciiti. Riad è impegnata in un duello a tutto campo con i khomeinisti, una lotta di influenza sull’area del petrolio e il Medio Oriente. Scontro che si spezzetta poi nelle varie crisi regionali. In Siria, dove i sauditi appoggiano parte della ribellione mentre gli iraniani sono con il regime. Nello Yemen, paese devastato dalla guerra civile che contrappone gli sciiti Houti alle forze pro-saudite. È c’è ovviamente la questione del negoziato sul nucleare iraniano. L’Arabia Saudita, insieme a Israele, è contraria a qualsiasi concessione che possa permettere agli ayatollah di conservare le capacità atomiche. E, ovviamente, non gradisce la strada della trattativa imboccata dalla Casa Bianca.
Contro il terrorismo
Infine c’è il capitolo terrorismo. I sauditi, da sempre, appoggiano formazioni integraliste in Medio Oriente ma, al tempo stesso, devono vedersela con i qaedisti e l’Isis. Gli eredi di Osama sono stati debellati nel regno, però hanno trovato ospitalità nel vicino Yemen acquistando nuova linfa grazie anche al conflitto. I seguaci del Califfo stanno ampliando la loro presenza: le autorità saudite hanno appena smantellato una rete – oltre 90 i militanti catturati – che preparava attentati spettacolari. Tra gli obiettivi l’ambasciata Usa.