"La nuova Gomorra", di Antonio Nicaso – L’Espresso
L’America è sempre più cosa loro.
Per il governo di Washington, le ‘ndrine calabresi rappresentano una "crescente minaccia", al pari dei terroristi di Al Qaeda o del ritorno in azione dei guerriglieri del Pkk, il partito separatista curdo. Se le tradizionali famiglie di Cosa nostra fanno fatica a svecchiare gli organici, la ‘ndrangheta investe nella produzione di foglie di coca con i paramilitari colombiani e gestisce ingenti partite di droga con i Los Zetas, il braccio armato del più potente e sanguinario cartello messicano, quello del Golfo, che ormai controlla l’intera distribuzione di cocaina negli Stati Uniti.
È solo una delle facce della ‘nuova Gomorra’, che dalla Calabria si espande in quattro continenti: dopo avere colonizzato l’Europa adesso si allarga nelle Americhe e in Africa. Unendo armi e soldi, violenza e investimenti, è sempre un passo avanti rispetto agli investigatori: dalle miniere congolesi del coltan, minerale fondamentale per i telefonini di ultima generazione, all’infiltrazione negli appalti dell’Expo di Milano 2015.
La scoperta dell’America.
Da New York a Miami, la ‘ndrangheta si è ormai allargata a macchia d’olio. Quella che un tempo in Florida per la sua invisibilità veniva paragonata all’altra faccia della luna, oggi è una delle poche organizzazioni criminali capace di fornire capitali in una economia fortemente spossata dalla crisi. Negli States segnati dalla recessione comprano tutto, come succedeva in Germania agli inizi degli anni Novanta, dopo la caduta del muro di Berlino, quando la ‘ndrangheta intuì il grande business della riconversione di una delle aree industriali più grandi del continente, dove, oltre un secolo prima, era nato il capitalismo tedesco. Ma l’intera Europa orientale allora diventò terra di conquista. Uno dei globetrotter della ‘ndrangheta venne fermato con 2.600 miliardi delle vecchie lire mentre nell’ex Unione Sovietica stava cercando di acquistare una banca, una raffineria di petrolio e un’acciaieria. Adesso invece l’Eldorado è il Nord America spossato dal credit crunch.
Oggi negli Stati Uniti la ‘ndrangheta comanda senza dare ordini. E comunica senza parlare. Come è successo recentemente a Manhattan, dove un broker delle ‘ndrine è stato avvistato al tavolo di un ristorante, in compagnia di tre trafficanti. Il broker calabrese e i tre narcos messicani, dopo aver ordinato del pesce, hanno cominciato a scambiarsi messaggi di testo con il Blackberry attraverso il ptt – push to talk -, uno dei pochi sistemi che, come il software di Skype, non è intercettabile. Rimanendo praticamente in silenzio per tutto il pasto, tra un’aragosta e un cocktail di gamberi, si sono messaggiati per concludere i loro affari.
High tech e vincoli di sangue: la forza della ‘ndrangheta sta proprio nella capacità di adattarsi a qualunque situazione, senza mai snaturarsi, senza mai venir meno a quel modello di società con regole e valori che, dalla seconda metà dell’Ottocento, si tramandano di padre in figlio. "Le parentele sono le uniche stratificazioni ammesse nella gerarchia delle ‘ndrine", spiega Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della direzione distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, uno dei magistrati più esposti nella lotta alla ‘ndrangheta: "È una realtà omogenea, difficilmente penetrabile dall’esterno, in grado di rigenerarsi, consolidarsi ed espandersi mediante unioni matrimoniali e comparaggi con esponenti di altre famiglie". A New York come a Duisburg, a Toronto come ad Amsterdam.
Fronte del Golfo.
L’alleanza con i narcos messicani rappresenta la nuova frontiera, una superlega di boss che non si scompone neanche dopo il sequestro di sessanta milioni di dollari o la perdita di 16 tonnellate di cocaina e 25 tonnellate di marijuana, come è successo pochi mesi fa nel corso dell’operazione Solare, coordinata dalla procura distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e condotta in collaborazione con la Drug enforcement administration (Dea), l’antidroga americana. In Messico, da alcuni anni, l’odore di sangue rappreso sa di ferro rugginoso. Come quello delle armi usate per spartire torti e ragioni in una guerra civile per il controllo del traffico di droga, un giro da 25 miliardi di dollari che soltanto nel 2008 ha causato più di 5.400 morti. In Italia la cocaina gestita dai narcos messicani arrivava nascosta su piccoli aerei commerciali o in container che viaggiavano a bordo di navi. I pagamenti venivano effettuati con il sistema del money transfer attraverso le agenzie Western Union. Più creativo era invece il meccanismo per aggirare i controlli della Dea. Lungo il confine erano state costruite gallerie con ascensori e minirotaie, ma spesso la neve arrivava nel mercato più ricco del mondo grazie a semisommergibili, motoscafi e piccoli jet intestati a prestanomi.
Il sogno dei narcos messicani era quello di conquistare il mercato europeo, dove il consumo di cocaina è in crescita, rispetto a quello calante degli Stati Uniti. E per sbarcare in Europa avevano bisogno della ‘ndrangheta, "gente tosta di cui ci possiamo fidare", come facevano notare nelle loro conversazioni, ignari delle cimici che ne registravano anche i sospiri. Gente tosta come la madre di Giulio Schirripa, uno degli arrestati che gestiva una pizzeria nel quartiere Corona di New York e che era in contatto con gli emissari del cartello del Golfo. Le intercettazioni ne fanno un ritratto spietato: "Dovevamo farli a pezzi", diceva la donna riferendosi ad alcuni clienti insolventi. "Come Rambo, dovevamo fare, come Rambo. Perché loro non sanno chi siamo noi".
Per gli investigatori, gli Schirripa facevano parte di un consorzio di famiglie in grado di organizzare grossi carichi di cocaina con profitti enormi che poi venivano investiti in alberghi, ristoranti, imprese, supermercati, ma anche in Borsa, come era successo qualche anno fa in Germania dove altre ‘ndrine avevano messo le mani su un grosso pacchetto di quote azionarie della Gazprom, l’azienda monopolista russa del gas.
Come Al Qaeda.
"È globale, pervasiva e utilizza una rete molto simile a quella di Al Qaeda", spiegano i vertici dell’Fbi, citando l’ultima relazione della commissione parlamentare Antimafia. Nel maggio dello scorso anno, l’amministrazione Bush ha inserito la ‘ndrangheta nella lista nera delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico, al pari delle più potenti reti terroristiche che finanziano le loro operazioni con il commercio della droga. "Prima erano presenti solo nello Stato di New York e in Florida, ora sono in forte crescita, tanto da costituire una minaccia per la sicurezza nazionale", confermano gli investigatori americani. Sono cresciute nel silenzio, muovendosi sotto traccia, senza mai dare fastidio.
Il boss guerrigliero.
Prima di scendere a patti con i messicani, per decenni le ‘ndrine hanno collaborato con i cartelli colombiani. Erano gli unici ad avere basi in Colombia. Giorgio Sale, un imprenditore romano, per esempio, trattava direttamente con Salvatore Mancuso, l’ex capo delle Auc, l’Autodefensas Unidas de Colombia, una ciurma di narcos in tuta mimetica. Trattava per conto della ‘ndrangheta l’acquisto di droga, occupandosi anche del riciclaggio del denaro sporco in mano ai paramilitari colombiani. "Il giro d’affari era di 7 miliardi di dollari l’anno", ha ammesso Mancuso, il quale, prima di finire in un carcere americano con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, stava progettando di trasferirsi in Italia, il paese dal quale era emigrato il padre, originario di Sapri, in provincia di Salerno. In una conversazione intercettata dalla polizia italiana, Sale parla di una ingente somma di denaro che Mancuso era andato a ritirare: "1.800 milioni (…) la prima tranche del cinquanta per cento". Soldi, montagne di soldi, destinati a diventare villaggi turistici, soprattutto in Toscana, attività imprenditoriali pulite, ma che servivano anche per acquistare un palazzo che si affaccia sui giardini del papa.
L’ultima frontiera.
"Oggi il problema della ‘ndrangheta non è quello di fare soldi, ma di giustificarne la ricchezza", spiega il tenente colonnello del Raggruppamento speciale operativo (Ros) dei carabinieri Valerio Giardina, l’uomo che ha catturato Pasquale Condello, detto ‘il Supremo’, uno dei boss più potenti della ‘ndrangheta. Condello leggeva Gabriel García Márquez e cenava con ostriche e champagne. Nell’appartamento dove è stato arrestato, dopo vent’anni di latitanza, gli uomini del Ros hanno trovato un manuale del ‘Sole 24 Ore’, una sorta di vademecum su come e dove investire senza rischi. Perché i capi dei calabresi sono tradizionalisti in casa e innovatori nell’intuire le potenzialità all’estero. Dopo le Americhe, l’Oceania, l’Europa e l’Asia, l’Africa è diventata la nuova Tortuga, l’ultimo tassello nel risiko delle ‘ndrine, l’unica vera mafia veramente globalizzata.
Dopo i diamanti, la ‘ndrangheta ha messo gli occhi sul coltan, il preziosissimo minerale che serve ad ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione: un elemento fondamentale per i telefonini. Per convincere i miliziani congolesi è bastato un carico di armi. "Por la plata lo que sea", come dicono in Colombia. Per i soldi qualunque cosa.