Dal Corriere della Sera di ieri, l’intervista allo scrittore algerino Sansal:
«L’Occidente può anche rifiutarne l’idea. Ma per gli islamisti la situazione è assolutamente chiara: loro hanno dichiarato guerra all’Occidente».
Boualem Sansal, 65 anni, scrittore algerino su cui pende una condanna a morte degli integralisti, è l’autore, tra l’altro, del romanzo Il villaggio del tedesco (Einaudi) e di un saggio sull’Islam politico, Gouverner au nom d’Allah (Gallimard), in cui affronta senza soggezione per il politicamente corretto la relazione tra religione e potere, tra verità assoluta e realtà sfuggente della condizione umana.
Rispondendo al telefono dalla sua casa di Algeri, spiega perché, a suo avviso, i drammatici avvenimenti di Parigi non sono semplici «atti di terrorismo», per quanto efferati, e tanto meno «episodi criminali», quanto piuttosto «episodi di un conflitto in corso da tempo e capace di nuove, imprevedibili crudeltà».
Che guerra è questa che si svolge nelle strade delle città europee? Quali sarebbero gli obiettivi?
«È un conflitto che ha diverse ragioni e più obiettivi. Gli islamisti ne giustificano la legittimità per i bombardamenti occidentali in Siria, in Iraq e in altre parti del mondo arabo. Ma se vogliamo fare un passo in più, scopriamo che così loro cercano di costruire un senso di appartenenza alla comunità islamica, vogliono tracciare una linea precisa tra un “noi” e un “loro”, spingendo gli indecisi a schierarsi. Pensiamo alle azioni di Merah (le stragi a Montauban e Tolosa, ndr ) o di Mehdi Nemmouche (l’assalto al museo ebraico di Bruxelles, ndr ), e ora i massacri di Charlie Hebdo e del negozio kosher: per i giovani delle banlieues , i killer diventano degli “eroi” da imitare. O rifiutare: ma, in questo caso, rischiano di essere visti come traditori venduti all’Occidente».
Lei parla di guerra, ma c’è chi, in Europa, li considera solo atti di terrorismo…
«Usano armi da guerra: kalashnikov, bombe. Sono stati addestrati al combattimento e questo portano, con estrema fierezza, nelle strade delle città d’Europa: di cos’altro si dovrebbe parlare? D’altro canto, non è nemmeno la prima volta che accade: durante la guerra d’Algeria, o più avanti, nel corso della guerra in Iraq, la battaglia è stata portata sul territorio europeo per spaventare e dividere i governi. Con risultati, dal loro punto di vista, estremamente soddisfacenti».
Ai musulmani viene oggi chiesto di denunciare queste aggressioni, di parlare chiaramente contro la violenza. È giusto farlo?
«Io credo e lo dico apertamente che i musulmani debbano denunciare gli islamisti per salvare la loro religione. Perché questi estremisti violenti stanno distruggendo l’Islam. La vera difficoltà per la comunità islamica è che le differenti interpretazioni del Corano sono trasversali rispetto alla società. Insomma, in una stessa famiglia ci sono fratelli schierati sui due fronti: quello moderato e quello radicale. Durante la guerra civile, in Algeria, la gente aveva paura di denunciare i membri del proprio clan. Una situazione che può essere paragonata alle famiglie mafiose: nessuno parla perché non si possono toccare i parenti. E poi c’è la paura della vendetta. Così arriviamo all’omertà».
Ma perché tanto odio verso l’Occidente? In Francia ci sono 6 milioni di musulmani, la maggior parte dei quali nati e cresciuti nella République…
«In verità, gli islamisti sono una minoranza che opprime una maggioranza che vorrebbe vivere serenamente nella loro patria d’adozione. Ma seminando odio si previene l’assimilazione, si difende la “purezza” islamica. Il discorso è semplice: è colpa degli occidentali, ci hanno colonizzato, noi siamo lì a lavorare, ci sfruttano. Molti alla fine maturano un sentimento di rivincita. Altri dicono: finalmente si occuperanno di noi, ora che il nostro estremismo li terrorizza».
Che cosa si può fare per arginare una contrapposizione che può portare a un punto di non ritorno?
«Non è facile ma occorre trovare il modo di liberare i musulmani dalla paura di dire quello che pensano. Dobbiamo sapere però che i nostri avversari sono uomini che non hanno timore di essere chiamati assassini».