Vi segnalo un’interessante analisi di Carlo Jean pubblicata su Formiche.net
Le umiliazioni subite da Putin nel Summit del G-20 in Australia – pesanti rimproveri per l’annessione della Crimea e per l’invio di truppe e di armi ai secessionisti filo-russi del Donbass, accuse per l’abbattimento dell’aereo malese e di voler compromettere l’ordine mondiale. ecc. – non rimarranno senza risposta da parte del presidente russo. E’ troppo orgoglioso per non farlo. In Australia ha risposto colpo su colpo, mostrando anche i suoi “muscoli nucleari”. La cosa è stata molto apprezzata dall’opinione pubblica russa. Non può però mascherare né, tanto meno eliminare, la debolezza di Putin. L’annuncio della sua volontà di trasformare in un blocco militare la SCO (Shanghai Cooperation Organization) e di allargarla all’India e al Pakistan, non viene presa molto sul serio. Tra Pechino e Mosca ha sempre dominato la sfiducia e il sospetto. Il collasso dell’URSS ha modificato i rapporti di potenza non solo in Europa, ma anche nel sistema Asia-Pacifico-Oceano Indiano. Il “blocco continentale” auspicato da Putin per contrastare l’egemonia degli USA ha bisogno di un leader. La Russia non intende farsi dominare da Pechino. Ma questo sarebbe l’inevitabile conseguenza di un Pivot to Asia da parte del Cremlino.
La crisi economica lega le mani a Putin. Essa è destinata ad aggravarsi con la mancata modernizzazione dell’industria, la posizione marginale della Russia nel mercato globale, le sanzioni occidentali, la fuga di capitali, l’indebolimento del rublo e la diminuzione del prezzo del petrolio. Il PIL russo è simile a quello italiano. Quest’anno non crescerà. La crisi demografica colpirà fortemente la Russia prima della Cina. I rapporti di potenza saranno sempre più favorevoli a Pechino. Il peso della Russia sta diminuendo nel mondo, anche se si è rafforzato nell’Europa centrorientale. Non può essere mascherato dalle minacce né dalle provocazioni, quale l’invio di bombardieri strategici anche in prossimità delle coste USA o di una squadra navale al largo dell’Australia, proprio in contemporaneità con la riunione del G-20. L’inevitabile declino relativo obbliga Putin a ottenere risultati, prima che il mondo si accorga del fatto che la Russia non è più una grande potenza globale, ma solo una regionale, sempre più chiusa su se stessa.
Le speranze riposte da Putin sulla Cina, come partner alternativa all’Occidente, sono illusorie sia dal punto di vista economico che sotto il profilo politico e strategico. I due gasdotti – “Potenza della Siberia” e “Altai” – raggiungeranno la loro piena potenzialità solo in una ventina d’anni. Richiederanno enormi investimenti, coperti solo in parte dai prestiti cinesi. Il mercato cinese del gas non è sostitutivo di quello europeo, anche perché la Cina lo pagherà a prezzi inferiori a quelli europei. Inoltre, solo il gasdotto “Altai” potrà instradare in Cina il gas della Siberia Occidentale, oggi esportato in Europa. Non è poi detto che Pechino voglia mettersi in linea di collisione con gli USA e creare così la nuova guerra fredda, ipotizzata da Gorbaciov. Pechino mantiene un equilibrio quasi cinico fra Washington e Mosca. Esperti geopolitici di Pechino prevedono che, con i trends attuali, la Russia – a partire dalle Province Marittime e dalla Siberia orientale – cadrà nelle mani cinesi come una “pera matura”. Ha quindi deciso di aspettare. Considera la Russia una potenza regionale in declino, anche se pericolosa a breve termine, data l’imprevedibilità della politica di Putin e l’enorme arsenale nucleare di cui ancora dispone. La crisi economica e la consapevolezza del declino accrescono però il rischio di uno scontro con l’Occidente. La Cina non lo auspica. Metterebbe in crisi la sua economia globalizzata.
Le difficoltà economiche possono mettere Putin con le spalle al muro. Potrebbero indurlo, per mantenersi al potere, a sfruttare la forza del nazionalismo russo. Esso è sempre più anti-occidentale. La maggior parte dei russi ritiene che l’Occidente voglia distruggere la Russia e impadronirsi delle sue ricchezze naturali. E’ poi persuasa di non aver perso la guerra fredda e di essere stata tradita dall’Occidente che ha allargato la NATO, dopo aver promesso di non farlo.
Putin non può fermarsi, senza perdere la faccia e il consenso di cui gode in Russia. Non può ritirarsi dalla Crimea. Non può abbandonare gli insorti filorussi dell’Ucraina orientale. Molto verosimilmente continuerà a bluffare, non solo “mostrando i muscoli” con i voli dei suoi bombardieri, con l’invio di squadre navali in giro per il mondo, con esercitazioni militari con la Cina, a partire da quelle navali – di cui una programmata in Mediterraneo nel 2015 – con misure di ritorsione e parole di sfida contro le sanzioni imposte alla Russia dall’Occidente, con la minaccia di chiudere i rubinetti di gas all’Europa e di bloccare le importazioni agricole in Russia. Deve aumentare le divisioni fra gli USA e l’Europa e all’interno di quest’ultima. Per questo corteggia le destre populiste e anti-capitaliste in tutta l’Europa.
Per coprire i suoi bluff cercherà d’intimidire l’Occidente con qualche mossa più arrischiata per metterne in forse la coesione: cioè, con aggressioni limitate in Ucraina, in Georgia, in Moldavia o negli Stati Baltici. La motivazione sarà quella del dovere di Mosca – dichiarato nella “dottrina militare russa” – di proteggere le minoranze russe da discriminazioni e persecuzioni. Putin pensa di poterlo fare impunemente, date le divisioni nella NATO e l’indecisione dominante negli USA. Sa di poterlo fare solo in tempi ristretti, prima delle elezioni del nuovo presidente USA – che sarà certamente meno disponibile di Obama ad accordi con Mosca – prima che la NATO si assesti per fronteggiare la nuova situazione e prima che l’Ucraina ricostituisca il suo esercito e muova all’attacco delle regioni secessioniste.
Il problema per gli USA e l’Europa consiste nel definire strategie che dissuadano Mosca da tali aggressioni e che possano evitare all’Occidente l’alternativa di rispondere militarmente, con il rischio di una rapida escalation nucleare, oppure di piegarsi alla Russia come ha fatto per la Georgia e la Crimea. In altre parole, deve convincano Putin che non poter più “giocare sul sicuro”. Oggi la dissuasione NATO non ha più la credibilità che aveva nella guerra fredda. I rapporti transatlantici si sono indeboliti. L’Europa è profondamente divisa. La Russia può trarre vantaggio da ciò. Il cuore del problema sta nella Germania, tanto per cambiare. A Berlino è sempre più messo in discussione il fatto che la Russia sia un partner nella sicurezza pan-europea da Lisbona a Vladivostok, come era stato ipotizzato dalla Merkel e da Medvedev, oppure sia una minaccia per gli assetti determinati dalla fine della guerra fredda.
Ma come convincere Putin che il “gioco” sta divenendo troppo pericoloso e che non gli conviene esagerare? La risposta sta nella formula seguita nella dissuasione nel mondo bipolare. Pazientare, non rompere i rapporti, ma, al tempo stesso, essere risoluti. Ma in primo luogo, persuadersi che l’unità dell’Occidente è essenziale. Oggi è messa a dura prova dal fatto che le sanzioni pesano in modo diverso sui vari Stati, che non esiste una politica europea comune nei confronti della Russia e che gli USA non gliono o non possono più sanzionare pesantemente eventuali defezioni dalla linea decisa nell’Alleanza. Putin approfitta in modo strategicamente magistrale di tali vulnerabilità. Utilizza le riserve finanziarie che il Cremlino possiede. Basti vedere la politica che sta seguendo verso la Bulgaria, l’Ungheria e Cipro, oppure l’utilizzo del suo fondo sovrano di ricchezza per effettuare investimenti in un’Unione Europea, non uscita dalla crisi economica e che rischia di collassare sotto il peso della disoccupazione giovanile.
E’ del tutto improbabile che le sole sanzioni e le difficoltà della sua economia fermino Putin. Occorre che la NATO ripensi integralmente la sua strategia, garantendo la sicurezza anche dei suoi membri più esposti e che sia credibilmente in grado di fare pagare a Mosca un alto prezzo per iniziative che, modificando gli assetti geopolitici dell’Europa, costituiscono minacce almeno potenziali. In altre parole, l’Europa deve considerare importanti, al pari di quelle economiche, le sue esigenze di sicurezza.