Vi segnalo un bel post di VenusInArms sull’annoso tema della (scarsa) cultura strategica italiana. Un post dal titolo quantomai esplicito: “Uno spettro si aggira per l’Italia: la cultura strategica“.
[…] recenti studi (qui, qui e qui) hanno messo in evidenza la più grande contraddizione che riguarda la politica di difesa italiana. A fronte della considerevole trasformazione avvenuta dopo la fine dell’epoca bipolare (rinnovato attivismo militare, riforme del modello di difesa e trasformazione delle strutture) la cultura strategica nazionale è rimasta ancorata ai valori di riferimento della Guerra Fredda, ponendo la “pace”, l’”umanitarismo” e il “multilateralismo” come lenti interpretative principali della politica di difesa italiana. Il problema, come tali ricerche hanno dimostrato, è la superficialità di questi riferimenti concettuali, la loro strumentalità (si pensi alla differenza tra il complesso sistema valoriale del pacifismo e la stanca retorica delle “missioni di pace”). In altre parole, è ancora carente (per ragioni storiche, politiche e culturali) un linguaggio comune con il quale affrontare i temi della difesa, andando oltre la superficialità e le contingenze. La limitata produzione di documenti strategici (l’ultimo Libro Bianco è del 2002), è solo una delle più evidenti testimonianze di questa grave mancanza.
Oggi, di fronte alla necessità impellente di trasformazione delle forze armate e di revisione del modello di difesa nazionale, l’esigenza di una condivisa cultura strategica, interpretata come base di una riflessione approfondita un materia, appare lampante. Ma questo processo di acquisizione non può essere immediato, e passa in primis dal contesto educativo (dove siamo drammaticamente indietro su tali argomenti). È quindi troppo tardi? Crediamo di no. La presenza di occasioni di discussione e confronto, dal parlamento ai (vecchi e nuovi) media, è il primo passo necessario per alimentare un dibattito adeguato e consapevole. Certo, rispetto ad altri paesi siamo all’età della pietra, ma vogliamo vedere nei recenti segnali degli aspetti positivi. Un po’ come le serie televisive italiane. Siamo anni luce lontano dalla qualità di capolavori come “The Sopranos” o “House of Cards”, ma “Romanzo Criminale” è comunque un passo avanti rispetto a “Don Matteo 5” (con tutto il rispetto per il glorioso passato di Mario Girotti, noto ai più come Terence Hill).
A fronte di questo velato ottimismo si percepiscono però due grandi rischi all’orizzonte.
Il primo è che, a fronte della complessità del compito che grava sui decision-makers, e alla ribalta mediatica degli elementi “economici” del dibattito, si rinunci a un vero approfondimento, si opti esclusivamente per la propaganda e si eviti ogni tentativo di acquisire una solida e più ampia consapevolezza sui temi della difesa. Il secondo rischio è quello opposto. Data la mancanza attuale di cultura strategica, proprio per evitare strumentalizzazioni, populismo e propaganda, la tentazione potrebbe essere quella di promuovere un dibattito chiuso, ristretto ed esclusivo.
A fronte di questi pericoli, riteniamo che solo una discussione inclusiva, lunga e complessa, possa far progredire davvero lo stato della cultura strategica italiana. Non attraverso l’omogeneizzazione dei punti di vista ma grazie al confronto vero e approfondito si può garantire quel linguaggio comune con il quale affrontare i temi della difesa e della sicurezza. Utopia? Beh, vale comunque la pena tentare. Altre occasioni per rimediare non ce ne saranno.