A proposito di studi sull’intelligence segnalo la pubblicazione di un nuovo articolo nell’area “Cultura della sicurezza” del sito dei nostri Servizi.
Il breve saggio è una review di un bellissimo libro di Stephen Marrin, docente e ricercatore tra i migliori a livello internazionale e che personalmente apprezzo molto. Il testo è “Improving Intelligence Analysis: Bridging the Gap between Scholarship and Practice” ed è dello scorso anno.
Nell’articolo pubblicato sul sito del Sistema di informazione il libro viene analizzato, seppure sinteticamente, alla luce del più ampio “outreach accademico” ovvero di quella tendenza, più o meno recente, che sta portando i Servizi ad aprirsi al mondo della ricerca e delle università:
Dalla fine della guerra fredda i cambiamenti avvenuti nel sistema internazionale hanno spinto molti sistemi di intelligence nazionali ad avviare importanti processi di riforma allo scopo di assicurare flessibilità ed efficacia nell’azione informativa a supporto del processo decisionale.
Nei Paesi democratici un elemento importante di questo processo è stata l’apertura, graduale ma continua, verso il mondo delle università e della ricerca secondo un nuovo “paradigma dell’intelligence” nell’ambito del quale la capacità delle università di produrre conoscenza viene considerata dai Servizi di intelligence un asset strategico irrinunciabile e insostituibile.
In particolare, nel corso degli ultimi dieci anni la collaborazione tra mondo accademico e agenzie di intelligence si è fatta più stretta al punto che alcune comunità di intelligence (soprattutto nel mondo anglosassone, ma non solo) hanno formalizzato veri e propri programmi di “outreach accademico” ovvero forme di interrelazione strutturata e non episodica tra analisti, da un lato, e docenti e ricercatori, dall’altro.
In questo contesto del libro di Marrin viene posto in evidenza il messaggio centrale: l’importante ruolo che gli studi sull’intelligence hanno sulla formazione professionale dell’analista dei Servizi.
In Improving Intelligence Analysis – Bridging the Gap between Scholarship and Practice Stephen Marrin, già analista della CIA e attualmente professore associato di analisi di intelligence, ha esaminato in profondità le dinamiche del rapporto tra ricerca accademica e agenzie di informazione statunitensi giungendo alla conclusione che la ricerca può svolgere un ruolo primario nel migliorare le analisi dell’intelligence e nel far progredire la professione dell’analista. Gli studi sull’intelligence, infatti, sono in grado di fornire ai professionisti del settore la materia prima per imparare dalle esperienze passate a perfezionare le prestazioni future.
Così come avviene per altre professioni anche per quella dell’analista di intelligence la ricerca accademica può costituire quell’infrastruttura di conoscenza teorica che, studiando come operano i Servizi, come viene effettuata l’analisi, come e dove si manifestano le vulnerabilità, migliora la pratica della professione. Una conoscenza, quindi, che non è affatto scollegata dalla prassi ma, al contrario, è costruita sullo studio approfondito delle esperienze passate ed è rilevante, utile e “actionable”.
La teoria dell’intelligence, soprattutto in ambito anglosassone, non è stata sviluppata – afferma Marrin – in una torre d’avorio accademica, separata dalla pratica. Molta della letteratura esistente, a esempio, si basa sulle lezioni apprese nel corso della loro carriera da professionisti che sono poi diventati docenti o ricercatori e il cui obiettivo non è quello di creare mere astrazioni teoriche ma piuttosto di concettualizzare la funzione dell’intelligence al fine di migliorarne la prassi.
In altre parole, la letteratura sull’intelligence ha livelli di astrazione minimi e, a differenza di altre discipline, è più vicina alla pratica che alla teoria. Essa, quindi, deve essere considerata, particolarmente dall’analista di intelligence, come un meccanismo, più o meno formalizzato, per la trasmissione scritta e l’apprendimento della conoscenza professionale.
Secondo il docente americano un’attenta disamina della letteratura internazionale, infatti, può permettere al professionista di accedere a una considerevole quantità di informazioni utili per la propria attività compresi, a esempio, i criteri e la metrica per la valutazione della qualità delle analisi, le best practices sui metodi e sulle tecniche analitiche, le procedure per la creazione di team analitici efficienti, le linee guida sui percorsi da seguire per accrescere il bagaglio culturale degli analisti.
Studi e teoria che non sono, quindi, lontani dalla pratica giornaliera della professione analitica ma che, al contrario, ne costituiscono una sintesi ragionata frutto di comparazione ed approfondimenti. In tal senso il mio modesto suggerimento, peraltro già espresso in precedenza, è proprio quello di creare all’interno del DIS, ove già non esistente, un piccolo ma stabile centro studi che, anche in collegamento con istituti di ricerca pubblici e privati e con il mondo accademico, realizzi programmi di ricerca di alto livello qualitativo. Sia ad uso interno (analisi e formazione) che a scopo culturale/divulgativo.
In conclusione, una stabile relazione tra università, ricerca e intelligence può essere proficua non solo in quanto permette alle agenzie di acquisire know-how strategico sui propri target ed expertise da incorporare e mettere a sistema. La ricerca accademica sull’intelligence permette anche di migliorare il funzionamento stesso delle organizzazioni di sicurezza nazionale e costituisce uno step indispensabile per una completa professionalizzazione della figura dell’analista di intelligence.
Inoltre, la produzione con rigore accademico e la pubblica diffusione di conoscenza riguardo ai meccanismi di funzionamento dei Servizi di intelligence fornisce ai cittadini i giusti (e infungibili) strumenti culturali per interpretare correttamente le complesse attività della propria intelligence valutandone, ove possibile, efficienza e efficacia.