Dal Sole 24 ore di oggi un breve articolo riguardo all’impatto dello shale gas americano sugli interessi strategici russi:
[…] Il rallentamento attuale dell’economia russa contrasta con questo scenario. Il modello basato sulla ricchezza creata dall’esportazione di petrolio mostra i suoi limiti ed è reso più vulnerabile dal declino del prezzo del greggio e dalla recessione europea. A questi fattori di debolezza si aggiunge la singolare presenza di uno Stato che, nel 2008-2012, ha accresciuto di oltre 1 milione i posti di lavoro pubblici e che oggi controlla circa un quarto della forza lavoro nazionale. Ciò è avvenuto a scapito del settore privato che,nello stesso periodo, ha perso 300.000 posti di lavoro trovandosi a competere ad armi impari con le imprese di Stato per risorse umane, servizi e trasporti.
Va detto che le compagnie petrolifere russe costituiscono circa la metà del valore dello stock market nazionale e che Gazprom produce da sola il 10% dell’export. E’ comprensibile perciò che la rivoluzione dello shale-gas americano preoccupi profondamente Mosca. Essa infatti rischia di minare le fondamenta dell’odierno capitalismo di Stato russo poiché al momento della rielezione, lo scorso maggio, il presidente Vladimir Putin ha escluso dalla privatizzazione il settore dell’energia, nonché quello della difesa. Inoltre lo shale-gas sta cambiando l’equilibrio di potere fra Mosca e gli acquirenti europei poiché i rifornimenti di gas liquefatto del Medio Oriente che gli Usa non intendono più acquistare, vengono ora offerti ai paesi europei spingendo verso il basso i prezzi sul mercato mondiale. Come dimostrano sia il taglio del 20% sui prezzi di fornitura per un contratto decennale siglato dalla Bulgaria, sia la riduzione contrattata dall’Eni lo scorso giugno. […]