In occasione di un convegno svoltosi un paio di giorni fa presso il CASD l’Istituto Affari Internazionali ha pubblicato uno studio sulle esigenze della difesa europea (allegato qui di seguito).
L’introduzione a tale documento, scritta da Stefano Silvestri, Michele Nones e Alessandro Marrone, contiene un passaggio che vale la pena di evidenziare perchè fotografa alla perfezione la realtà attuale e le prospettive future:
Il quadro strategico internazionale sta cambiando rapidamente. L’emergere di una potenza cinese caratterizzata da un forte nazionalismo, insieme con l’approccio fortemente “realpolitico” e spesso antagonista adottato dal governo di Mosca, rendono più difficile e incerta la governabilità delle crisi asiatiche ed africane e indeboliscono il sistema delle Nazioni Unite e delle altre organizzazioni internazionali. Gli Stati Uniti restano la maggiore potenza mondiale, e anche la potenza “indispensabile” per mantenere la pace e la sicurezza globale, ma non sono in grado, e probabilmente non sono neanche più intenzionati, ad esercitare un ruolo egemone. Il sistema internazionale è maggiormente integrato a livello economico, finanziario, delle comunicazioni e dell’informazione, ma è fortemente frammentato quando si tratta di usare la forza armata ed esercitare funzioni di governo. Grandi aree del pianeta rischiano di cadere in uno stato di semi-anarchia, criminalità e guerra civile, mentre la crisi economica aggrava le tensioni sociali, contribuendo ad alimentare l’insofferenza e la protesta delle popolazioni, anche in paesi generalmente ritenuti più stabili.
Non è ancora stata individuata una ricetta, una strategia, per affrontare con successo questo insieme di crisi, che vengono attraversate e gestite faticosamente, spesso esigendo gravosi sacrifici economici e umani, in termini di vittime sia civili che militari.
Una cosa però è chiara, mentre la distribuzione della ricchezza a livello internazionale sta rapidamente evolvendo in direzione dei paesi del G-20 ed a scapito del più ristretto club del G-7: su questi ultimi cade un peso sproporzionato dei costi di gestione del sistema. Le nuove potenze emergenti restano ai margini e non assumono responsabilità e oneri proporzionati alla loro nuova importanza – e ai benefici che traggono dal sistema internazionale stesso.
Ciò non avviene per caso. Il sistema internazionale viene largamente percepito come un modello “occidentale” di governo, con il quale non c’è grande affinità. Certamente è vero che questo sistema ha lavorato a favore dell’Occidente (anche se non solo) e che ancora le funzioni di governo al suo interno vedono una presenza maggioritaria delle potenze tradizionali. Tuttavia non è chiaro da cosa dovrebbe essere sostituito e come, e se le potenze emergenti (o già emerse) siano pronte ad esercitare un ruolo analogo e a preoccuparsi di un analogo largo consenso.
In questa situazione è probabile che il sistema rimarrà ancora a lungo fortemente squilibrato e alimenterà incertezze e inefficienze. Ciò mette le potenze tradizionali di fronte ad un grave dilemma strategico. Ciò vale in particolare per l’Europa, che, a differenza degli Stati Uniti, non controlla analoghe risorse economiche e militari e non gode di un forte sistema centralizzato di governo, ma, nello stesso tempo, è più vicina ed esposta alle aree di crisi in Asia ed in Africa, è più dipendente dal buon funzionamento del commercio internazionale, e in particolare dalle importazioni di energia provenienti da aree delicate come il Medio Oriente e il Nord Africa e dalla Russia.
In ogni caso la prospettiva è quella di una cessione progressiva di potere e di ruolo. Ciò può avvenire in modo incontrollato, sotto la pressione delle crisi, o in modo gestito e per quanto possibile ordinato, garantendo la difesa degli interessi vitali del sistema europeo ed occidentale. Come è noto, la ritirata è una delle manovre più difficili e delicate che possano condurre le forze armate, ma se riesce al meglio è anche un ottimo fondamento per il futuro. E questo vale anche nei rapporti di potenza sullo scenario internazionale. L’Europa oggi non sembra, però, pronta a eseguire questa difficile manovra con qualche speranza di successo. I quattro capitoli di questo studio lo evidenziano.