… nelle parole di Ibn Warraq. Lettura vivamente consigliata
"Nacque in una casa di ricchi commercianti, ma fu per tutta la vita un corsaro degli arabi sofferenti. Nacque da un padre palestinese cristiano con passaporto americano e da una madre palestinese fiera della sua egemonica cultura anglicana. Nacque fra le mani sicure di una levatrice ebrea e avrebbe abitato nella casa di Gerusalemme che fu del filosofo sionista Martin Buber. Edward Said è stato l’intellettuale arabo più illustre del secolo scorso e l’icona della sinistra filoaraba e progressista (in Italia è tradotto da Feltrinelli). Di famiglia episcopaliana, sposato a una quacchera devota, vestito spesso con il tweed e laureato a Princeton, Said è stato il padrino degli studi “post-coloniali”. Fu battezzato Edward perché i genitori erano fieri di quel nome vittoriano. Crebbe tra due mondi in conflitto, quel conflitto di cui sarebbe stato fra i principali propulsori. La sua peggiore eredità è il sillogismo che lo rese celebre in tutto il mondo: l’“orientalismo”, il razzismo occidentale nei confronti dell’oriente musulmano, è antisemitismo perché gli arabi sono semiti; il sionismo bianco ha assimilato gli ebrei all’occidente, gli ebrei hanno perso il loro semitismo, sono divenuti “orientalisti”, antisemiti; i palestinesi sono i “nuovi ebrei” e gli ebrei sono i “nuovi nazisti”. Prima d’ora nessuno fra gli studiosi musulmani, comunità che ha beneficiato della politica culturale e dell’influenza accademica di Said, aveva dedicato anni di ricerche e passione intellettuale per smontarne l’ eredità. Lo ha fatto il dissidente islamico Ibn Warraq, padre di una generazione di apostati dalla fede coranica e acclamato autore di “Why I am not a muslim”, scritto dopo l’affare Rushdie e che tanta eco ebbe negli Stati Uniti, facendo diventare l’auore capofila di una generazione di dissidenti. Questo “Spinoza islamico” è nato nel 1946 a Rajkot (India), prima di emigrare in Pakistan. Il suo nome, Ibn Warraq, pseudonimo che usa per proteggere la famiglia dalle minacce di morte e che nel mondo arabo indica i perseguitati e gli eretici, è comparso in cima alla blacklist di dodici intellettuali minacciati nella libertà d’espressione accanto a Rushdie e Ayaan Hirsi Ali. Warraq ha curato la pubblicazione di “The Origins of the Koran”, “The Quest for the Historical Muhammad”, “Leaving islam” e “What the Koran Really Says”. All’università di Edimburgo si è formato accanto al grande studioso Montgomery Watt, autore di una delle più celebri biografie di Maometto. Contro Said e il saidismo Warraq ha appena scritto “Defending the west” (Perseus), la prima critica dell’opera dell’intellettuale palestinese. In questa conversazione con il Foglio, Warraq anticipa i temi del suo lavoro. Il filosofo inglese Roger Scruton ha definito il libro un “messaggio di speranza per il futuro”. Ampio il plauso al libro da parte della stampa americana, dallo storico sciita Fouad Ajami a quell’Ephraim Karsh che ha raccontato l’“imperialismo islamico”, fino a Paul Berman e Daniel Pipes, per finire con Diana West e lo storico Walter Laqueur. “Il libro ‘Orientalismo’ ha insegnato a una generazione di arabi l’arte dell’autocommiserazione” ci spiega Warraq. “Ripete sempre un messaggio: ‘Se non fosse per gli imperialisti, i razzisti e i sionisti saremmo grandi come una volta’. Said ha incoraggiato il fondamentalismo islamico della generazione degli anni Ottanta. Il tono aggressivo del libro è una sorta di terrorismo intellettuale. Edward Said dipinge l’Oriente come vittima perpetua dell’imperialismo occidentale. L’Oriente non è mai protagonista, agente di volontà. C’è una sorta di piacere e di autoassoluzione nel sentirsi dire che non siamo responsabili dei nostri guai, che è tutta colpa dell’occidente, gli ‘infedeli’. Così l’arabo non ha bisogno di assumersi la responsabilità della propria autodeterminazione, è più facile accettare soldi dai donatori occidentali, trattarli come se te lo dovessero, come una forma di jiza, la tassa del califfato sui non islamici. Said fornisce un ruolo passivo agli ‘orientali’, non sono mai individui autonomi, soggetti morali, ma sempre vittime delle cospirazioni occidentali. Il libro di Said ha poi reso gli studiosi paurosi di porre domande, ha inibito la ricerca. Molto prima della trasformazione dell’Europa in Eurabia, molti intellettuali hanno trattato l’islam come un tabù per diversi motivi: correttezza politica, motivi commerciali, senso di colpa postcoloniale, paura fisica e il terrorismo intellettuali dei vari Said, che ha anche allontanato l’obiettivo della democratizzazione del medio oriente. Said attacca non soltanto l’intera disciplina dell’Orientalismo, secondo lui colpevole di perpetuare stereotipi razziali negativi, ma accusa gli orientalisti di essere un gruppo complice del potere imperiale. Said ha chiamato il coraggioso scrittore iracheno Kanan Makiya un ‘informatore’ e lo storico libanese Fouad Ajami uno ‘scagnozzo dell’occidente’”. Warraq spiega come l’occidente abbia sempre coltivato una profonda empatia nei confronti delle altre culture. “Anche l’islam all’inizio era aperto, soprattutto a influenze grecoindiane. A un certo momento si è chiuso e ancora ne subiamo le conseguenze, la sua stagnazione e decadenza. Rifiutando il marcionismo, che voleva recidere le radici ebraiche del cristianesimo, quest’ultimo ha aperto le porte dell’Europa al passato, ad Atene e a Gerusalemme. L’islam ha invece rigettato il passato e le antiche glorie preislamiche, dall’Indù ai monumenti mesopotamici ed egiziani, che apparterrebbero a un periodo di buio, barbarie, ignoranza, la ‘jahiliyya’. Nessuna università islamica, a eccezione della Turchia, offre oggi un corso di studi sulle civiltà non-islamiche. Nessuno studioso proveniente dal mondo islamico ha raggiunto la capacità di un Carl Brockelmann e Theodor Nöldeke nel descrivere la propria storia e cultura. Fino alla fine del XVIII secolo, pochi libri europei erano stati tradotti nel linguaggio dei musulmani. Oggi nessuna università islamica ha centri di studio di altre civiltà, con l’eccezione di Ankara per il sanscrito. Ascoltare musica occidentale è considerato indesiderabile, ‘il tradimento di un arabo comincia quando ascolta Beethoven’ scrive al Wasiti. Fino al XX secolo, gli stessi archeologi erano solo europei e americani, con le eccezioni dei due cristiani assiri Christian e Hormuzd Rassam. All’inizio del XIII secolo Leonardo Fibonacci di Pisa era in Nord Africa ad acquisire la conoscenza della matematica araba. E’ grazie a Fibonacci se il sistema arabo-indù è arrivato in occidente. L’occidente è sempre stato recettivo delle nuove idee”. Warraq cita la Mesopotamia. “La popolazione era del tutto indifferente agli scavi di pionieri come Layard, oppure ostile alle loro attività dal punto di vista religioso, visto che niente di ciò che è preislamico è considerato di valore e spesso le sculture preislamiche sono distrutte come segni di idolatria. Gli archeologi, come gli orientalisti, hanno dato all’umanità una preistoria e poi una storia. Durante il dodicesimo e tredicesimo secolo, l’occidente ha tratto in salvo le opere di studiosi arabi, ha istituzionalizzato lo studio di Avicenna, Averroè, al Khawrizmi e al Farabi, incorporandoli nei curriculum universitari. Salvarono manoscritti, traduzioni e insegnamenti dall’arabo. Quasi tutti i più grandi studiosi del passato, Nöldeke, Hurgronje, Goldziher, Caetani, Lammens e Schacht, esprimono opinioni inaccettabili per i musulmani. Ma la cosa più curiosa è che queste pubblicazioni si possono acquistare nella Libreria Islamica di Londra, magari venendo serviti da una ragazza musulmana che indossa il tradizionale velo tanto caro ai fondamentalisti. L’occidente dovrebbe scusarsi per Dante, Shakespeare e Goethe? E Mozart, Beethoven e Bach? E Rembrandt, Vermeer, Van Gogh, Galileo, Copernico e Newton? E la penicillina e i computer? E i diritti umani e la democrazia parlamentare? L’occidente non ha bisogno di lezioni da parte di società che tagliano il clitoride delle donne, lapidano le adultere e gettano acido sulle loro facce”. Warraq ritiene che in occidente troppo a lungo la tragedia dell’islam sia passata inosservata. “L’Europa è colpevole di crimini terribili, ma quale civiltà non lo è stata? Pensiamo a Mao, Pol Pot, al massacro di un milione di musulmani nel Pakistan orientale, al Ruanda, al Darfur, ai crimini di Saddam Hussein e dell’Iran. Tuttavia, persiste una profonda differenza fra l’occidente e il resto del mondo. Gli intellettuali occidentali, scrittori, storici e politici hanno narrato le follie dell’occidente, costringendolo a ripensarsi. Gli Stati Uniti durante la Guerra fredda hanno aiutato i musulmani contro i comunisti, le azioni americane in medio oriente sono state a vantaggio dei musulmani, gli Stati Uniti hanno protetto l’Arabia saudita dall’Iraq, l’Afghanistan dall’Unione sovietica, la Bosnia e il Kosovo dalla Yugoslavia e la Somalia da Mohammed Aidid. Gli Stati Uniti non hanno nulla a che fare con la morte di 150mila algerini”. La schiavitù ha segnato ogni civiltà, ma solo l’occidente aveva gli anticopri per debellarla. “La dottrina cristiana della ‘apocatastasi’ dice che tutte le creature morali, cristiane o no, sono uguali nella grazia della salvezza. E’ così in Origene, in Clemente di Alessandria, San Gregorio di Nissa e in Ambrogio. Le origini della rivoluzione scientifica in Europa, che generalmente datiamo al XVI e al XVII secolo, si trovano nel Rinascimento che fu prima di tutto il risultato dei cambiamenti della teologia cristiana, della filosofia e del diritto occidentali. Solo l’occidente sembra aver sviluppato la nozione secondo cui il mondo naturale è un universo razionale e ordinato, che l’uomo è una creatura razionale capace di comprensione anche senza l’aiuto della rivelazione, capace di afferrare le leggi che governano la natura. Le fonti di questa fiducia europea nella ragione e nella razionalità sono da ricercare nella religione, nella filosofia e nel diritto. Il concetto di leggi di natura ha un fondamento giudeo-cristiano, anche se i teologi cristiani hanno riletto il principio del Timeo platonico, che ha avuto profonda influenza su Pietro Abelardo, Adelardo di Bath e altri. La nozione paolina di coscienza ha avuto inoltre conseguenze nella liberazione della ragione umana. Invece la storia della filosofia islamica, che è una contraddizione in termini in quanto l’ortodossia sunnita non ha mai accolto un pensiero filosofico, è la storia di una opposizione fra ragione e rivelazione. Laddove i teologi islamici hanno negato l’ordine dell’universo attraverso la dottrina dell’occasionalismo e la negazione del libero arbitrio, la teologia cristiana ha liberato l’uomo, insegnandogli che la facoltà razionale è un dono di Dio e che tutta l’attività razionale aiuta a celebrare la gloria di Dio. Il razionalismo ci ha dato il meraviglioso edificio della scienza moderna, una profonda comprensione delle nostre origini, una grande visione. Il diritto e la teologia islamiche rifiutano la nozione stessa di un agente razionale. L’uomo deve seguire la tradizione, obbedire all’autorità. Il buon musulmano deve desistere dal ricercare nella natura e dal mettere in discussione il Koran e gli Hadith”. Per Warraq non è casuale il ritardo islamico nell’abolizione della schiavitù. “Continua ad esistere ancora oggi in Sudan, in Mauritania e in Arabia Saudita. Olivier Pétré-Grenouilleau ha concluso che i grandi schiavisti erano orientali, non occidentali. Undici milioni di schiavi furono deportati verso il mercato atlantico, ma dal Settimo secolo agli anni Venti del XX secolo, i mercanti arabi hanno catturato circa 17 milioni di schiavi neri. Il numero di coloro che hanno scritto dell’11 settembre senza nominare l’islam è altissimo. I quattro padri del moderno islam militante, Hassan al Banna, Sayd Qutb, l’indopakistano Maududi e l’ayatollah Khomeini hanno ripetuto lo stesso messaggio, derivato dal Corano: è ordine divino dei musulmani combattere i non musulmani per sostituire la legge dell’uomo con la sharia e fino a che l’islam non abbia conquistato il mondo”. Rovesciando il celebre paradigma di Edward Said, Ibn Warraq conclude sulla necessità per l’occidente di difendere i non-musulmani e i dissidenti all’interno dei regimi islamici. “Uno scrittore proveniente da un paese governato da principi islamici supplicava: ‘Dovete difendere Rushdie, difendendo lui, difendete anche noi’. Penso che una riforma dell’islam sia possibile, ma non sarà indolore e senza difficoltà. Il relativismo è come il colesterolo, ce ne è uno buono e uno cattivo. Ho insegnato a Londra negli anni Settanta e lì ho capito l’importanza di guardare in modo positivo a culture non occidentali. Ma siamo andati troppo oltre. Questi intellettuali credono che l’islam si riformerà senza disturbare la sensibilità dei musulmani e senza dire nulla sul Corano. E’ un wishful thinking”. "
da Il Foglio del 10 ottobre 2007