… secondo Ian Bremmer (Corriere della Sera):
Il ritiro maldestro delle truppe americane dall’Afghanistan rappresenta la prima vera crisi dell’amministrazione Biden in politica estera . La colpa non va attribuita alla decisione di ritirarsi: si è trattato di un errore attuativo, non strategico. La presenza americana nel Paese si era fatta sempre più insostenibile. Gli Stati Uniti avevano già riportato in patria un numero consistente di truppe, mentre i talebani guadagnavano rapidamente territorio, e in patria ben pochi americani si interessavano ormai all’intera vicenda.
Biden aveva ereditato un processo di pace andato in frantumi e avrebbe dovuto affrontare la prospettiva di un rinnovato conflitto contro le forze talebane, sempre più agguerrite, se avesse fatto marcia indietro sugli impegni sottoscritti da Trump. Riprendere i combattimenti avrebbe richiesto un ulteriore coinvolgimento militare che nessuno, nel governo Biden, a cominciare dallo stesso presidente, era disposto ad appoggiare. Il ritiro è stata la migliore tra le varie opzioni, tutte pessime. Il presidente Biden è profondamente convinto di questo, come ha ribadito nel suo appello alla nazione lunedì scorso. Ma la sorpresa maggiore — davvero scandalosa, se si pensa all’esperienza e alla professionalità della squadra di sicurezza nazionale e politica estera messa in piedi da Biden — è venuta dalla palese incompetenza dimostrata nell’esecuzione.
Di seguito i principali errori in cui sono incappati gli americani:
1. Errori militari e di intelligence. Le agenzie di intelligence americane ritenevano che Kabul avrebbe resistito ai talebani addirittura due o tre anni. Ma non appena l’offensiva talebana ha innestato la marcia, la valutazione dell’intelligence è scesa a due-tre giorni. Due sono i dati che lasciano davvero di stucco: primo, gli Stati Uniti hanno speso 88 miliardi di dollari, in vent’anni, per addestrare un esercito afghano che si è rifiutato di combattere; secondo, dopo vent’anni di addestramento militare, gli Stati Uniti non hanno capito (o non hanno voluto capire) quali fossero le reali capacità di quell’esercito e la sua effettiva volontà di combattere.
2. Errori di coordinamento. Gli Stati Uniti hanno combattuto accanto ai loro alleati per due decenni, ma quando è venuto il momento di staccare la spina, Biden lo ha fatto da solo, sia in termini di scelta politica che di decisione, comunicazione, attuazione e ripercussioni (l’evacuazione dei cittadini, l’accoglienza dei rifugiati, gli aiuti umanitari e via dicendo). Gli alleati si aspettavano dagli americani un atteggiamento diverso nei confronti degli amici, dopo quattro anni di slogan «America first» sbandierati da Trump. Gli Stati Uniti hanno inoltre scartato l’occasione di coinvolgere la Cina. Lo sfacelo dell’Afghanistan non è nell’interesse di nessuno dei due Paesi, né che ricominci a esportare il terrorismo internazionale. Esisteva la possibilità di ricercare soluzioni diplomatiche creative in una delle pochissime aree che accomuna cinesi e americani, ma l’occasione è andata sprecata.
3. Errori di pianificazione. Malgrado le sviste dell’intelligence e le falle nel coordinamento, si poteva ancora evitare il disastro se il governo Biden avesse attentamente pianificato scenari alternativi. In base a quanto sappiamo, ciò non è accaduto. Gli Stati Uniti sono stati costretti a inviare rinforzi per effettuare le operazioni di evacuazione, circa 3.500 effettivi che erano già stati rimpatriati dall’Afghanistan. L’aeroporto di Kabul è stato preso d’assalto da migliaia di civili afghani in preda al panico. Un aereo da trasporto americano ha preso il volo circondato da una folla impazzita e tre disperati sono precipitati al suolo dal velivolo dopo il decollo. Non è stato previsto alcun piano per mettere al sicuro migliaia di afghani che hanno collaborato con le forze americane e molti di loro saranno abbandonati al loro destino.
4. Errori di comunicazione. Nel preparare il ritiro delle truppe americane, Biden aveva rassicurato i suoi concittadini, sostenendo da diverse settimane come «molto improbabile» la possibilità che i talebani avrebbero «sopraffatto l’esercito afghano e riconquistato l’intero Paese». Aveva inoltre ribadito che «non si sarebbero viste scene di ponti aerei dal tetto» dell’ambasciata americana. Il segretario di Stato Antony Blinken aveva dichiarato: «Noi restiamo qui, l’ambasciata resta qui, i nostri programmi restano. Potrebbero esserci problemi di sicurezza, ma non si tratta di cose che succedono dalla sera alla mattina».
Previsioni puntualmente smentite dai fatti in tempo reale. A questo punto il governo Biden ha cambiato tattica, affermando che l’America «ha portato a termine» il suo impegno in Afghanistan. Quella che doveva essere una decisione difficile, ma necessaria, si è trasformata in una totale catastrofe, esponendo Biden alle accuse, da parte dell’opposizione, di essere personalmente responsabile di una guerra fallimentare — un’accusa ridicola per un fallimento da 2 trilioni di dollari nell’arco di vent’anni, ma che da oggi in poi gli verrà imputata.
I prossimi giorni saranno cruciali. Il governo di Kabul è caduto e l’ex presidente Ashraf Ghani è fuggito in esilio. Molti americani e stranieri però sono ancora bloccati nella capitale, in attesa dell’arrivo di migliaia di militari per evacuarli. E i talebani? Tenteranno di sequestrare o di eliminare gli americani che battono in ritirata? Il caos inevitabile che si instaurerà nella capitale sfocerà in incidenti e omicidi di giornalisti americani, operatori umanitari, diplomatici e soldati? La Casa Bianca sta esaminando tutta una serie di scenari apocalittici che ricordano la crisi degli ostaggi di Teheran nel 1979 e il drammatico tentativo di salvataggio messo in atto nel 1980. Tra breve sapremo se Kabul 2021 andrà ad aggiungersi a quella lista.
Ma anche se Biden riuscirà a scongiurare ulteriori disastri, le prospettive per le prossime settimane appaiono terrificanti. I talebani si godranno il colpaccio propagandistico di issare il loro vessillo su Kabul — compresa l’ex ambasciata americana — nel giorno del ventesimo anniversario dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Materiale militare del valore di svariati miliardi di dollari, abbandonato dagli americani, verrà esibito per le strade della capitale. Le forze talebane imporranno le loro regole con nuove atrocità, specie contro donne e bambine. I media americani non si lasceranno sfuggire questi dettagli, specie se alcuni giornalisti vi resteranno coinvolti. Il Congresso si affretterà a indire udienze per interrogare i vertici militari su quanto accaduto. L’Afghanistan diventerà nuovamente il porto sicuro del terrorismo internazionale, o perché i talebani spalancheranno le porte alle organizzazioni estremiste oppure, più probabilmente, perché non saranno in grado di controllare fino in fondo i loro territori. È ben risaputo che le zone di conflitto attirano i jihadisti da ogni parte del mondo, come ha dimostrato l’Afghanistan stesso negli anni Ottanta, la Bosnia negli anni Novanta, l’Iraq nel 2000 e la Siria nel 2010. L’ondata di attacchi terroristici sferrati dall’Isis in Europa fu resa possibile dall’abilità di tali organizzazioni nel reclutare fanatici da ogni angolo del pianeta, per poi addestrarli in Siria e in Iraq, e rispedirli nei loro Paesi d’origine a compiere stragi. La capacità degli americani di sorvegliare e colpire i gruppi terroristici in Afghanistan sarà limitata dall’assenza di intelligence sul territorio e dalle restrizioni imposte dal dispiegamento militare nella regione. Le «ben note incognite» riguardanti l’Afghanistan si moltiplicheranno negli anni a venire, e non potrebbe esserci prospettiva peggiore per l’America.