Dal Corriere.it (di Fiorenza Sarzanini):
L’informazione sui raid imminenti è stata data agli alleati durante l’incontro che si è svolto a Washington il 21 luglio scorso. Per l’Italia c’erano i ministri degli Esteri Paolo Gentiloni e della Difesa Roberta Pinotti. Le autorità statunitensi hanno comunicato la richiesta del premier libico Fayez Serraj e confermato la disponibilità all’intervento militare contro Isis. Domenica, attraverso i canali diplomatici, è arrivata la conferma: procediamo. L’operazione contro gli estremisti dell’Isis entra dunque nella fase «calda» e l’Italia certamente giocherà un ruolo, sia pur senza stare in prima linea, almeno in questo momento. Per i primi attacchi si è scelto di utilizzare le basi militari in Giordania e le unità navali americane schierate nel Mediterraneo. Ma il comando Usa ha già fatto sapere che i «raid» andranno avanti e dunque sarà necessario poter contare su altri luoghi di decollo. L’ok all’utilizzo della base di Sigonella era già stato concesso qualche settimana fa. Entro la fine del mese i droni armati potrebbero decollare proprio dall’aeroporto militare siciliano.
È un salto di qualità che il nostro Paese deve accettare se vuole continuare a proporsi come «guida» in una coalizione che possa davvero aiutare la stabilizzazione della Libia sotto l’egida dell’Onu. Il rischio è alto, la possibilità di essere maggiormente esposti rispetto al pericolo di una ritorsione dei fondamentalisti è stata messa nel conto. Ma è comunque una carta che non si poteva non giocare, pena il rischio di rimanere isolati rispetto a una strategia concordata dagli alleati più fedeli agli Stati Uniti. Domani il ministro Pinotti sarà in Parlamento proprio per riferire circa questi ultimi sviluppi. Evidenzierà come l’intervento Usa sia stato deciso all’interno della «cornice» disegnata grazie all’approvazione della risoluzione dell’Onu dei mesi scorsi e soprattutto della richiesta esplicita presentata dal governo libico, sottoscritta anche dal Consiglio Nazionale. Una «copertura» che prevede anche una clausola ritenuta «di salvaguardia» dai Paesi della coalizione. Nell’istanza di Serraj viene infatti specificato che «non sarà tollerata la presenza di stranieri sul territorio libico» e questo esclude, almeno per il momento, la possibilità di effettuare operazioni di terra.
Più volte in questi mesi si è parlato di incursioni dei reparti speciali francesi, britannici e americani in Libia. L’Italia ha negato la propria partecipazione, pur avendo approvato un decreto che concede al presidente del Consiglio la possibilità di autorizzare questo tipo di missioni, soprattutto potendo disporre di unità di intelligence e di soldati particolarmente addestrati. Di certo c’è che il premier Matteo Renzi ha escluso la possibilità, almeno nell’immediato, di inviare truppe nello Stato africano ritenendo troppo alti i rischi connessi ad un eventuale impiego di questo tipo. Ora lo scenario si sta modificando. L’intervento statunitense solleva gli altri Paesi da un impegno in prima linea, ma soltanto nelle prossime settimane si potrà valutare l’evoluzione della vicenda e dunque la possibilità che si debba rispondere ad altre richieste provenienti dal governo libico. L’accordo firmato con gli americani per l’utilizzo di Sigonella impegna il governo italiano ad autorizzare «tempestivamente» la missione di fronte alla richiesta del comando militare statunitense e l’ordine per l’avvio dell’azione dovrà essere concesso in tempi brevissimi. Nella base ci sono undici aerei che potranno essere impiegati, tutti con missili Hellfire, guidati da un’unica centrale di controllo.