… secondo Carlo Jean, nella sua analisi pubblicata da Formiche.net (qui e qui):
Nel vertice di Hannover dei cinque “grandi” dell’Occidente si è parlato negli scorsi giorni del problema libico e dell’intenzione ventilata da Fayez Serraj di chiedere un aiuto internazionale per la protezione delle infrastrutture petrolifere. Dalla ripresa della produzione energetica dipende il consolidamento del governo sponsorizzato dall’ONU e, al tempo stesso, la legittimazione dell’intervento internazionale. E’ una condizione necessaria, ma non sufficiente.
L’accordo non è stato approvato da Tobruk. Non si può quindi parlare di governo di unità nazionale. Serraj e i suoi hanno ricevuto l’appoggio di talune milizie, della Banca Centrale (LCB) e della Corporazione Nazionale del Petrolio (NOC). Con gli organismi dell’ONU, Serraj è tuttora nella base navale di Tripoli. La capitale non presenta sufficienti condizioni di sicurezza. Oppure Serraj e l’ONU vogliono evitare scontri con le milizie che li avversano. Uno spargimento di sangue farebbe fallire la loro cauta strategia, di ottenere progressivamente il loro sostegno.
Il pericolo maggiore per il successo di Serraj non è rappresentato dall’ISIS, ma dal generale Khalifa Haftar, che tiene in ostaggio e, al tempo stesso, protegge il governo di Tobruk. Egli combatte non solo l’ISIS ma tutte le realtà libiche che non lo appoggiano, in particolare quelle islamiche ed è sostenuto dall’Egitto, dalla Francia e dagli Emirati. Recentemente, ha ottenuto notevoli successi e ricevuto cospicui rifornimenti di armi e di veicoli blindati. Sta ottenendo il controllo della Cirenaica, ripulendola dall’ISIS, dalle forze islamiste e da quelle che appoggiano sia Tripoli sia Serraj, in particolare dalle Guardie delle Infrastrutture Petrolifere.
Esse sono state trasformate con i loro 27.000 effettivi in una milizia personale di uno strano personaggio, Ibrahim Jadhran, già membro del Gruppo Islamista Combattente Libico e incarcerato per quattro anni da Gheddafi, prima di divenire eroe della rivoluzione. Egli ha dichiarato fedeltà a Serraj. Qualche dubbio su di lui deve rimanere. Infatti, è stato accusato da un altro importante sostenitore di quest’ultimo, il presidente della NOC, di non aver difeso adeguatamente le infrastrutture petrolifere di Ras Lanuf e di Brega contro raid dell’ISIS, volti non a prenderne il controllo, ma a distruggerle per rendere impossibile la ripresa della produzione petrolifera, necessaria alla stabilizzazione del paese.
Il controllo del petrolio è la principale posta in gioco fra le fazioni che si confrontano in Libia. Da esso dipendono i futuri assetti istituzionali del paese: Stato unitario o federale o due Stati. Costituisce anche l’obiettivo delle numerose potenze esterne, che si confrontano in Libia e si combattono per procura, sostenendo le fazioni a ciascuna favorevoli.
Il gioco pericoloso della Francia
Appoggiando il generale Haftar, ma dicendo di sostenere Serraj, la Francia sta facendo un “gioco” alquanto ambiguo. Forse non è la sola. Taluni puntano sulla possibilità che Haftar occupi il ricco bacino petrolifero della Sirte e, con i rifornimenti militari ricevuti, elimini l’Isis dalla costa e da Sirte. Non ha la forza necessaria per conquistare anche la Tripolitania. Il suo successo comporterebbe la divisione della Libia. Sarebbe il “Piano B” da sostenere qualora Serraj non riuscisse a consolidarsi e a prendere il controllo delle milizie di Tripoli, oltre a quelle di Misurata e, con l’aiuto internazionale, non riuscisse a mantenere l’unità del paese, magari con un ordinamento federale. L’accettazione del fatto compiuto di un successo di Haftar toglierebbe così la “castagna dal fuoco”, che oggi paralizza l’Occidente: quella di dover combattere l’ISIS in Libia.
Cosa pensa Tobruk di Serraj
Insomma la situazione è tutt’altro che chiara. I recenti successi di Haftar rendono quasi impossibile che Tobruk cambi la sua decisione nei confronti di Serraj. Difficilmente sarà piegato dalla decisione di strangolarlo finanziariamente, impedendogli di vendere il petrolio che gli arriva dal giacimento Sarir, collegato con un oleodotto a un porto vicino a Tobruk. L’ONU sembra comunque intenzionato a seguire tale strategia. Una petroliera carica di petrolio, salpata da Tobruk è stata bloccata. Il governo di Tobruk, fino a qualche tempo fa riconosciuto come legittimo, sembra orientato a non cedere i suoi poteri a Serraj. Stampa moneta, per svincolarsi dalla dipendenza dalla LCB.
Il ruolo della Russia
Il caos, dunque, continua. Non si vede come uscirne. Tutto dipende dai libici. Il sostegno militare internazionale potrà essere solo limitato. Il condizionale è d’obbligo anche per un altro motivo. Mosca sostiene che la risoluzione dell’ONU che autorizza la lotta contro l’ISIS in Siria e in Iraq non può essere estesa alla Libia. Forse la Russia vuole compensare in Libia, appoggiando gli Stati arabi sunniti, il sostegno dato agli sciiti in Medio Oriente. Oppure, ha deciso che le conviene mantenere il caos in Libia. Con esso sono incontenibili le ondate di immigranti sulla rotta del Mediterraneo Centrale verso l’Italia, che tanto negativamente incidono sulla coesione dell’UE. La posizione russa riduce di fatto la possibilità che taluni Stati europei – tra cui l’Italia e la Germania – partecipino ad un intervento in Libia, data anche l’assenza di una forte leadership americana.
Cosa farà l'Italia
In conclusione tutte le ipotesi fatte dai media sull’entità dei contingenti che dovrebbe schierare l’Italia sono irrealistiche, semplici fantasie. Forse corrispondono a scenari che gli Stati Maggiori stanno elaborando. Ma finché non verrà deciso se intervenire o no e per quali obiettivi, con quali costi/benefici e tempi, né chi sarà nostro alleato, avversario o neutrale, sia in Libia sia fra le potenze esterne, sono semplici ipotesi fantasiose. E’ da notare che il dibattito riguarda il numero dei soldati, ma non che cosa si intenda fare, con chi e contro di chi. Le incertezze sulla legittimità di Serraj e su che cosa farà Haftar costituiscono una comoda “foglia di fico” per dilazionare ogni decisione.