Una breve notizia che, a mio avviso, segna la fine della strategia obamiana annunciata nel 2009 (dal Sole 24 ore):
Più navi da guerra e sottomarini nel Mediterraneo. E' questo il proposito del Pentagono dopo il rafforzamento della flotta russa nell'area, il più intenso dalla fine della Guerra fredda. Lo ha dichiarato al Financial Times l'ammiraglio americano John Richardson, secondo cui l'obiettivo è quello «di mantenere un equilibrio di forze». Richardson oltre al Mediterraneo, dove i russi hanno schierato forze imponenti al largo della Siria a sostegno delle operazioni a favore di Bashar Assad, teme anche l'attività nel Pacifico. A proposito dell'attività di spionaggio dei russi, pochi giorni fa, sul New York Times, è stata riportata l'attività sospetta di navi spia russe dotate di batiscafi di profondità in prossimità di 'hub' di cavi per le telecomunicazioni sul fondo del mare, un asset tanto prezioso e vulnerabile. Il comandante della marina Usa lascia intendere poi come nel Pacifico la sfida per Washington sia doppia. Da una parte il rafforzamento delle attività russa. Dall'altra, ancora più pericolosa, il confronto ravvicinato (martedì scorso un cacciatorpediniere americano, lo Uss Lassen ha violato le acque rivendicate da Pechino vicino ad un'isola artificiale creata dal nulla dai cinesi alle Spratly), con la marina dell'ex Celeste Impero per le cosiddette isole contese. L'ammiraglio Richardson ha infine espresso preoccupazione per la politica militare di Vladimir Putin, intenzionato a inserire in un'unica partita le trattative/conversazioni con gli Stati Uniti. Una tattica mirata a “incassare” più vantaggi da un negoziato più articolato.