Il sito dei nostri Servizi ha pubblicato qualche giorno fa un altro interessante lavoro di Matteo Faini. Il ricercatore di Princeton, già autore di altre analisi pubblicate su Sicurezzanazionale.gov.it, affronta il delicato tema dello scambio informativo tra Servizi segreti.
Scrive Faini:
[…] In uno dei migliori lavori sull’argomento, James Walsh sostiene che anche senza fiducia reciproca si può avere un forte scambio informativo, purché le agenzie di intelligence creino un rapporto gerarchico[17]. In una gerarchia, l’agenzia dominante ha tre poteri fondamentali: plasma e interpreta l’accordo di intelligence sharing, crea e mantiene meccanismi di supervisione, e punisce eventuali violazioni dell’accordo senza che l’agenzia subordinata possa rispondere. La gerarchia facilita la negoziazione di un accordo, che rispecchierà perlopiù gli interessi del partner dominante, e riduce gli incentivi a violarlo. L’agenzia dominante non avrà interesse a violare un accordo che la favorisce, mentre l’agenzia dominata dubiterà di poter violare l’accordo senza essere scoperta. Proprio perché riduce gli incentivi a violare gli accordi, la gerarchia induce all’intelligence sharing anche agenzie che non si fidano l’una dell’altra.
Sarebbe sbagliato interpretare la gerarchia come una mera imposizione. L’agenzia subordinata avrà accesso a fondi e risorse tecnologiche ed umane altrimenti indisponibili. Il più delle volte si specializzerà ed entrerà in possesso di informazioni di cui il partner dominante ha bisogno, aumentando così il proprio potere negoziale.
L’innovazione teorica di Walsh è meritevole, ma le dinamiche interne ai rapporti gerarchici non sono esplorate appieno. In primo luogo, tutti i casi di gerarchia studiati da Walsh hanno come agenzia dominante gli Stati Uniti[18]. Se lo studio avesse incluso anche i Paesi del blocco sovietico, i cui archivi sono oggi aperti agli studiosi, avremmo un’idea più completa di come funzionano le gerarchie. Anche sui rapporti gerarchici degli Stati Uniti rimangono molti punti oscuri. Le fonti scarseggiano e non è chiaro quali siano esattamente gli strumenti di controllo gerarchico e quanto siano davvero efficaci. Ad esempio, possiamo davvero parlare di gerarchia statunitense sull’intelligence egiziana, come fa Walsh? Se di gerarchia si tratta, gli eventi degli ultimi quattro anni fanno pensare ad una gerarchia assai incerta.
Sia pur con qualche limite, possiamo dunque identificare le condizioni che rendono più probabile l’intelligence sharing. Alcune sono ovvie: se gli interessi degli Stati coincidono e se tra le agenzie d’intelligence c’è fiducia e stima reciproca, vi sarà maggiore scambio informativo. Altre sono più interessanti, ma anche più controverse. Gli scambi bilaterali saranno più facili rispetto a quelli multilaterali. Le istituzioni internazionali serviranno a poco e potrebbero anche essere dannose. Più utili saranno invece i rapporti gerarchici tra agenzie, sia pur con dinamiche non ancora del tutto esplorate.