E’ quella del bravo Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano (dal Sole24 ore di oggi):
La situazione in Ucraina si fa sempre più drammatica e rischia di andare totalmente fuori controllo. Sul campo le forze regolari ucraine si direbbe stiano sfogando la propria frustrazione per non riuscire ad aver ragione dei ribelli colpendo in maniera indiscriminata la popolazione civile dell’autoproclamata repubblica secessionista del Donetsk. Nelle settimane precedenti i bombardamenti dei giorni scorsi, l’Esercito di Kiev aveva infatti subito pesanti perdite, inflitte dai separatisti filorussi, pesantemente armati e abbondantemente riforniti da Mosca. Al gap nelle dotazioni militari Washington sembra intenzionata a cercare di porre rimedio, con una decisione che sta provocando divisioni dentro la Nato e tra la Nato e la Ue.
Gli americani appaiono decisamente orientati a una politica di balancing nei confronti di Mosca, anche a costo di un’escalation che ritengono comunque sarebbe limitata e di poter controllare. Gli europei temono che un’escalation in Ucraina possa portare a un pericoloso confronto con la Russia, e di fatto lasciano all’America l’onere di dissuadere il Cremlino dal perseguire il tentativo di smembrare ulteriormente l’Ucraina e di modificare i confini emersi dalla sconfitta patita nella Guerra Fredda. È la politica dello “scaricabarile” (buckpassing), tante volte vista all’opera nel corso della storia europea.
Ma che cosa è più “giusto”, o meglio più”appropriato” fare, in una situazione come questa? Mostrare i muscoli e far capire a chi, per primo, ha impiegato e continua a impiegare in maniera crescente la forza che questa scelta non paga? Oppure una strategia che preveda il graduale, lento, progressivo inasprimento di sanzioni economico-politiche accompagnato però dall’assenza di ogni sostegno militare all’Ucraina? La risposta, evidentemente, non è così univoca come i due partiti contrapposti tendono a rappresentare e, d’altronde, la storia stessa ci ricorda che lo “scaricabarile” è stata la scelta di gran lunga preferita nel corso dei secoli dalle potenze poste di fronte all’aggressione di un “terzo” rispetto al più costoso e rischioso bilanciamento.
Va detto che almeno sulla natura aggressiva della politica russa l’accordo tra i partner occidentali è sostanzialmente unanime. Proprio nelle ultime ore, infatti, la Nato ha deciso di più che raddoppiare le sue truppe destinate alla difesa del centro-est Europa, portando da 13.000 a 30.000 il dispositivo di intervento rapido “Punta di lancia”, creato appena lo scorso settembre. L’intenzione è chiaro e duplice: dissuadere Mosca da qualunque idea di poter fomentare impunemente “ribellioni spontanee” di altre minoranze russe presenti nelle repubbliche baltiche (ex sovietiche) e rassicurare i Paesi entrati nell’Alleanza dopo il 1989 che la garanzia di difesa reciproca si applica nei loro confronti esattamente come verso i “membri storici” della Nato.
Questo passo potrebbe bastare a riaffermare le capacità di deterrenza della Nato, ma è difficile che consegua risultati significativi verso la risoluzione o anche solo la stabilizzazione della crisi ucraina. Rinforzare le frontiere esterne dell’Alleanza è un conto, proiettare un’influenza stabilizzatrice verso l’esterno è cosa ben diversa. In particolare, non si capisce perché Mosca, a fronte di questa sola decisione della Nato, dovrebbe sospendere la sua guerra per proxi nei confronti dell’Ucraina.
Da un lato, il peso delle sanzioni, unito al crollo del prezzo del petrolio e alla flessione di quello del gas naturale (che dovrebbe accentuarsi nel corso dell’anno) sta penalizzando fortemente Mosca, che ora non ha più “il tempo dalla sua parte”, come era vero ancora solo meno di un anno fa. Ora e nel prossimo futuro Mosca non può più ripianare il costo delle sanzioni con i proventi energetici. Si tratta di un vincolo non da poco per le ambiziose (e avventuristiche) politiche strategiche di Putin. Mosca potrebbe così già non essere più in grado di sfidare l’Occidente se quest’ultimo mostrasse una fermezza maggiore, a condizione che ciò avvenisse subito, fino a quando il petrolio naviga intorno ai 50 dollari al barile. D’altra parte, messo con le spalle al muro, Putin potrebbe scegliere un’escalation (controllata, almeno nelle intenzioni). Mentre, viceversa, una politica accomodante potrebbe concedere a Putin il tempo di cui ha bisogno, quello necessario a far sì che il prezzo del petrolio torni a salire, consentendogli così di portare a termine lo smembramento dell’Ucraina. Per ora…
La scelta occidentale non è quindi per nulla semplice o scontata e comunque va apprezzata la buona coesione fin qui mostrata nei confronti di Mosca soprattutto dalla Germania della Cancelliera Merkel, che ha significativamente modificato la sua posizione verso la Russia. È soprattutto la previsione del sentiero che imboccherà nei prossimi anni la Russia (e delle risorse che avrà a disposizione) che dovrebbe influenzare la decisione finale degli alleati: Paradossalmente, proprio di fronte a una Russia destinata a consolidarsi stabilmente tra i protagonisti della politica internazionale qualunque atteggiamento accomodante equivarrebbe a un suicidio politico per l’Europa (innanzitutto) e per l’Occidente.