Dati i recenti avvenimenti può essere utile provare ad analizzare globalmente la c.d. “Jihad globale” ovvero, in altri termini, la minaccia proveniente dallo jihadismo.
Qualche settimana fa l’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence ha pubblicato un rapporto sullo stato della jihad internazionale. Il rapporto, realizzato assieme alla BBC ed intitolato “The New Jihadism: a Global Snapshot“, esamina le operazioni jihadiste nel solo mese di novembre 2014 ma, nonostante il ristretto spazio temporale, fornisce utilissimi elementi di analisi e riflessione.
Eccone alcuni: in un solo mese sono stati compiuti 664 attacchi con circa 5.000 vittime in 14 Paesi (una media di 20 attacchi e 170 morti al giorno). Il 51% delle vittime è costituito da civili e la stragrande maggioranza sono musulmani. Più del 60% delle vittime è imputabile a gruppi che non hanno rapporti con al Qaeda. Tra i gruppi qaedisti i più letali risultano essere Al Qaeda nella Penisola Araba (per intenderci il gruppo al quale dovrebbero appartenere o fare riferimento i terroristi francesi) e Jabhat al Nusra in Siria. Nel complesso, comunque, è lo Stato Islamico il gruppo col numero più alto di vittime (2206 morti per 306 attacchi), seguito da Boko Haram (801 morti per 30 attacchi) e dai Talebani (720 morti per 150 attacchi). Inoltre è possibile notare un cambiamento nella tattica adoperata dai terroristi. Oltre ai più classici attentati (suicidi e non) ed esecuzioni si nota un notevole incremento negli agguati, bombardamenti e cecchinaggio. Modi operandi più da guerriglia.
Infine, i Paesi più colpiti sono, com’era facile prevedere, Iraq (1770 vittime), Nigeria (786), Afghanistan (782), Siria (693) e Yemen (410). In genere ogni attacco causa 7,6 morti ma in Yemen, Kenya e Nigeria questa cifra sale, anche di molto: 11 morti per attacco in Yemen (AQAP), 12,5 in Kenya e ben 29 in Nigeria (Boko Haram).