Un articolo di Gianandrea Gaiani pubblicato sul Sole 24ore sottolinea questa tendenza:
Le spese militari rappresentano una delle note dolenti con cui dovranno fare i conti i membri dell’Alleanza atlantica nel vertice che si apre oggi in Galles. In ritirata, se non sconfitta; sul fronte afghano e a quanto sembra incapace di costituire un deterrente credibile nei confronti della Russia, la Nato dovrà affrontare le pressioni di Washington tese a stimolare la spesa militare dei partner europei che negli ultimi anni ha subito drastici ridimensionamenti.
Tagli dovuti alla crisi e alla necessità di rispettare gli stretti vincoli di bilancio che hanno determinato conseguenze gravi non solo nella quantità di mezzi e reparti in servizio ma soprattutto nelle capacità belliche e logistiche di sostenere operazioni militari ad ampio respiro. A tal proposito un dato dal forte valore simbolico è rappresentato dalle spese militari dei Paesi dell’Asia che nel 2013 per la prima volta hanno superato quelle dell’Europa, complice anche una corsa al riarmo nel Pacifico determinata dalle spese cinesi pari ufficialmente a 120 miliardi di dollari l’anno scorso (145 miliardi secondo Washington) e 132 miliardi quest’anno. In altri la Cina spende per le forze armate più di Gran Bretagna, Francia e Germania insieme. Oltre agli stanziamenti preoccupa soprattutto l’espansionismo navale di Pechino che ha indotto tutti i Paesi della regione, Giappone in testa, a gonfiare gli arsenali.
Tra i record più imprevedibili spicca quello dell’Arabia Saudita che con 60 miliardi di dollari di spese militari ha superato la Gran Bretagna al quarto posto nella classifica mondiale. Riad ha aumentato di oltre l’8 per cento il suo budget militare, Londra lo ha ridotto della stessa percentuale attestandosi quest’anno a 33 miliardi di sterline: sempre abbondantemente in vetta alla classifica della Nato davanti a Germania e Francia (33 e 32 miliardi di euro) ovviamente dopo gli Stati Uniti che, pur avendo tagliato i fondi al Pentagono, mantengono la più alta spesa militare mondiale con 582 miliardi di dollari.
La crisi ucraina ha fornito nuove occasioni agli Stati Uniti per esercitare pressioni sugli alleati affinché incrementino le spese per la Difesa portandole almeno alla soglia del 2% del Pil stabilita dalla Nato come requisito prioritario. Una soglia raggiunta oggi da Usa, Gran Bretagna, Grecia ed Estonia e solo sfiorata dalla Francia. Washington ha buoni argomenti per tirare le orecchie agli alleati poiché si sobbarca una quota costantemente crescente degli oneri dell’alleanza. Nel 2008 gli Stati Uniti coprivano il 68% della spesa militare globale della Nato, percentuale salita al 73% l’anno scorso e oltre i tre quarti quest’anno. I massicci tagli europei, compresi tra il 10 e il 20% negli ultimi cinque anni, hanno determinato un calo in molti casi drammatico delle capacità operative e dei mezzi disponibili. In Spagna le spese per la difesa sono passate da 8,4 miliardi di euro del 2008 a 5,7 nel 2014: un meno 32% che ha imposto il disarmo di navi e aerei e oggi consente a Madrid di mantenere pronte a combattere solo il 10 per cento delle sue forze.
Situazione drammatica anche in Italia dove le forze armate dispongono di meno di 14 miliardi di euro che caleranno sotto i 13 miliardi nei prossimi due anni con oltre il oltre il 70 per cento degli stanziamenti assorbiti dagli stipendi del personale (percentuale che si gonfierebbe ulteriormente in caso di sblocco delle retribuzioni) penalizzando addestramento e manutenzione.Tagli consistenti anche in nord Europa nonostante le migliori condizioni finanziarie. I militari tedeschi sono in fase di riduzione ad appena 130 mila unità con soli 220 panzer e 140 aerei da guerra in servizio. L’Olanda ha cancellato la componente carri radiando e vendendo tutti i suoi tank mentre in futuro l’aeronautica disporrà di soli 37 aerei da combattimento.
Tra i pochi membri della Nato a invertire la tendenza vi sono Polonia, Norvegia, Bulgaria e Turchia, quest’ultima con un incremento record del 16,3% (determinato anche dalla guerra siriana) che ha portato il bilancio militare a 20 miliardi di euro. Eppure tagliare la Difesa non conviene, come sostiene uno studio della società di consulenza britannica Europe Economics che ha rivelato come 100 milioni di tagli significhino una riduzione del prodotto interno lordo della Ue di 150 milioni, 40 milioni di imposte in meno e la perdita di 3mila posti di lavoro, 800 altamente qualificati.Al disarmo europeo corrisponde un forte incremento della spesa militare in Asia, Medio Oriente e Russia che consente di registrare un aumento dello 0,6 per cento della spese militare mondiale, passata quest’anno da d.538 miliardi di dollari a 1.547 secondo uno studio dell’istituto britannico IHS Jane’s. A preoccupare Washington non è solo l’aumento dei bilanci cinesi (148 miliardi di dollari quest’anno, 160 previsti nel 2015) ma il massiccio programma di riarmo varato da Mosca ben testimoniato dalla dimostrazione muscolare di questi giorni in Ucraina. I 68 miliardi di dollari del 2013 saliranno costantemente fino a 110 nel 2016 con un incremento del 37,5% che rappresenta un aumento della quota di Pio dedicata alla difesa dal 3,1 al 4% . Dati che garantiscono al Cremlino di occupare saldamente il terzo posto nella classifica globale delle spese militari. Putin deve ammodernare molti settori per compensare gli anni di paralisi militare dell’epoca post sovietica e già oggi vengono immessi in servizio decine di velivoli, centinaia di mezzi terrestri e una dozzina di unità navali nuove ogni anno. Al di là del rinnovamento degli equipaggiamenti e del denaro investito Mosca, a differenza della Nato, sembra avere anche la spregiudicatezza necessaria per usare la forza militare.