Visto che il tema è, ahimè, ritornato centrale nel dibattito internazionale degli ultimi giorni mi sembra il caso di segnalare l’ultima ricerca pubblicata da Lorenzo Vidino, in collaborazione con l’ISPI di Milano e la European Foundation for Democracy. Si tratta di un’analisi piuttosto dettagliata del c.d. “jihadismo homegrown”, o autoctono.
Scrive Vidino nelle conclusioni e nell’introduzione del suo “Il Jihadismo autoctono in Italia: nascita, sviluppo e dinamiche di radicalizzazione“:
[…] Come in ogni altro paese europeo, la radicalizzazione d’ispirazione jihadista in Italia riguarda solo una frazione statisticamente insignificante della popolazione di fede musulmana. Ma il fenomeno in Italia sembra essere ridotto anche quando paragonato con altri paesi europei. Come visto, nonostante un atteggiamento abbastanza aggressivo delle autorità e la presenza di strumenti giuridici che consentono agli inquirenti un’ampia latitudine operativa, solo pochi soggetti con caratteristiche autoctone (gli indagati di Niriya, Jarmoune ed el-Abboubi) sono stati arrestati in Italia, numeri notevolmente inferiori non solo rispetto a quelli di paesi dalle dimensioni simili al nostro, come la Francia o la Gran Bretagna, ma anche molto più piccoli, per esempio la Danimarca o i Paesi Bassi
Ugualmente significativi sono i numeri di combattenti in Siria. Le autorità della maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale esprimono forti preoccupazioni per i contingenti di residenti dei loro paesi che si sono recati nel paese arabo per unirsi a vari gruppi jihadisti che combattono contro il regime di Bashar al-Assad. Non esistono numeri esatti, ma nel tardo autunno del 2013 si stimava che i jihadisti che si erano recati in Siria dalla Francia fossero tra le 200 e le 400 unità, 200-300 dalla Gran Bretagna, oltre 200 dalla Germania, un centinaio dal Belgio e un’ottantina dalla Danimarca. In totale controtendenza, le autorità italiane stimavano che solo 10-15 soggetti residenti in Italia si fossero recati in Siria per combattere . Inoltre la maggior parte di essi pare fosse cittadina siriana le cui motivazioni e la cui ideologia sono diverse da quelle della maggior parte dei jihadisti europei che si reca in Siria. […]Il panorama attuale del jihadismo in Italia è estremamente frammentario ed eterogeneo, caratterizzato dalla presenza di vari
attori dalle caratteristiche marcatamente diverse. L’arrivo del jihadismo autoctono non significa che network “tradizionali” non siano più presenti. Molti di loro sono stati fortemente indeboliti dalle ondate di arresti ed espulsioni eseguite dalle autorità italiane nel corso degli ultimi quindici anni, ma sono ancora molto attivi (in particolar modo in attività logistiche).
Al tempo stesso piccoli nuclei e soggetti isolati con caratteristiche tipicamente autoctone sono sempre più attivi. È impossibile fornire numeri esatti, ma solo delle stime sommarie. Si può ritenere che i soggetti attivamente coinvolti in questa nuova scena jihadista autoctona siano una quarantina/cinquantina. Allo stesso modo, si può stimare che il numero di coloro che in vario modo e con vari livelli d’intensità simpatizzino con l’ideologia jihadista sia di qualche centinaio. Si tratta, in sostanza, di un piccolo insieme di soggetti dalle caratteristiche sociologiche (età, sesso, origine etnica, istruzione, condizione sociale) estremamente eterogenee che condivide la fede jihadista. La maggior parte di questi soggetti interagisce su internet con altri dello stesso credo in Italia (si può infatti dire che perlopiù si conosca tramite vari social network su internet) e all’estero. Molti di essi vivono nel nord del paese,
in grandi città quali Milano, Genova e Bologna ma anche in piccoli paesi di campagna, alcuni si sono anche stabiliti al centro e al sud.[…]
Questa scena possiede alcune caratteristiche comuni (anche se eccezioni sono sempre possibili):
– I suoi membri tendono a operare al di fuori dell’ambito delle moschee italiane, dove le loro idee non trovano terreno molto fertile.
– Non paiono esserci contatti tra loro e i network jihadisti tradizionali affiliati a gruppi della galassia di al-Qaeda, che tendono a vedere i nuovi militanti con diffidenza.
– Internet è la loro principale (se non unica) piattaforma operativa.
– Talora alcuni di essi passano all’azione, che può consistere in pianificare attacchi in Italia o viaggiare all’estero per unirsi a un jihad. Quelli che optano per questa seconda via spesso cercano dei facilitatori che possono fornir loro gli agganci giusti con gruppi strutturati operanti al di fuori dell’Europa. Queste dinamiche di collegamento tra aspiranti jihadisti italiani e gruppi strutturati sono svariate e difficili da ricostruire.
– Seppur costituiscano degli elementi che non vanno ignorati, ci sono scarse indicazioni che discriminazione e mancanza d’integrazione socio-economica siano le ragioni principali per la radicalizzazione di jihadisti autoctoni italiani.
Ogni caso va comunque analizzato a sé.