Venus in Arms, il bel blog di Fabrizio Coticchia e Francesco Moro, sta promuovendo un dibattito sul complesso tema della cooperazione civile-militare:
[…] La discussione promossa da Venus in Arms accoglierà pareri diversi (se non opposti) attraverso contributi di esperti e di attori che lavorano da anni sul campo. L’obiettivo è indagare un tema, analizzato spesso superficialmente, fornendo prospettive distinte. Angoli di lettura che provengano da soggetti ed esperienze differenti. Non necessariamente per arrivare alla composizione delle diverse posizioni ma per porre in risalto la pluralità delle opinioni in uno scenario avaro di riflessione ed approfondimento.
Nelle missioni militari contemporanee è emersa con sempre più evidenza la volontà da parte delle forze armate occidentali di combinare la componente militare a quella politica, sociale ed economica. Le forze armate, in particolare quelle italiane, sono state impegnate da decenni in operazioni multidimensionali, da interventi di emergenza a missioni di peace-building. Nella operazioni di controinsorgenza, per esempio, la necessità è quella di conquistare “i cuori e le menti” della popolazione civile. Pertanto le attività di sviluppo sono decisive come quelle militari. Progetti volti a migliorare la qualità della vita del contesto di intervento sono una parte consistente dei task svolti sul terreno. Ciò ha portato ad una crescita significativa dell’attenzione sul tema (e delle risorse) destinate ad incrementare efficacia ed efficienza della cooperazione tra attori civili e militari. In tal senso, le attività “CIMIC” hanno rappresentato sempre di più un tratto distintivo delle operazioni nazionali in teatri di crisi.
Ma attorno alla natura, alla struttura e agli scopi della cooperazione civile-militare si è alimentato un controverso dibattito. Aldilà della esausta e stucchevole retorica delle “missioni di pace” occorre approfondire l’argomento poiché le forze armate non si tramutate improvvisamente “operatori sociali”. La realtà è ben più complessa.
Quali sono i soggetti coinvolti in tali attività? Qual è il loro scopo? Conquistare il consenso della popolazione civile al fine di “vincere” o semplicemente assistere e aiutare? Si tratta della medesima cosa? Che livello di interazione e collaborazione sussiste tra ONG, associazioni e forze armate? Le operazioni in Iraq, Libano e Afghanistan sembrano fornire un quadro diverso rispetto a tali quesiti. Esiste allora un “approccio nazionale” in materia?
Molti soggetti della cooperazione, in un contesto di crescenti tagli alle risorse, hanno ritenuto necessario mantenere una netta distinzione tra attività di aiuto allo sviluppo e operazioni militari. La nuova legge sulla cooperazione, che apre al ruolo di attori privati, sottolinea la separazione tra cooperazione allo sviluppo e interventi militari. Ma i confini tra i due ambiti, alla luce della natura delle operazioni contemporanee, appaiono ancora labili in assenza di riflessioni adeguate che permettano di comprendere l’evoluzione futura di questa relazione.
Le forze armate si devono dotare unicamente di strumenti propri? La relazione tra componenti civili e militari rappresenta un valore aggiunto per raggiungere il fine della missione o può divenire controproducente in un’ottica di sviluppo? Qual è il rapporto tra cultura militare e cultura della cooperazione in Italia?
Chi volesse partecipare può inviare il proprio contributo a info@venusinarms.com.