Il collegamento tra energia e sicurezza nazionale è sfaccettato, complesso e spesso opaco. A sostenerlo è il Center for Strategic and International Studies di Washington che ha appena pubblicato uno studio sull’impatto geopolitico e geostrategico derivante dalla produzione statunitense dei c.d. “shale gas” e “tight oil”. L’ennesimo studio, direte voi, ed in effetti da un anno e mezzo a questa parte molte analisi sono state prodotte su questo argomento da think-tank ed istituzioni varie.
Per realizzare questo assessment, però, il CSIS ha creato un composito team di ricerca che ha sviluppato per oltre un anno un programma sulle implicazioni geostrategiche del gas e del greggio non-convenzionale. Il risultato è il report intitolato “New Energy, New Geopolitics: Balancing Stability and Leverage” nel quale gli analisti del CSIS valutano l’impatto su produttori (Russia, Stati Uniti, Arabia Saudita, ecc) e consumatori (Cina, Europa, Giappone). Anche alla luce di 4 scenari sviluppati dal team.
Nel complesso, gli analisti sostengono che è ancora troppo presto per poter indicare con precisione quale impatto avrà la “rivoluzione” statunitense (a tal proposito si vedano in dettaglio gli scenari). Di certo, però:
(…) perception is leading reality when it comes to geopolitical and national security impacts. Many countries and companies will act on early interpretation of this trend. Some will be rewarded, while others many lose out (especially on the investment side). In general, shale gas and tight oil are driving the focus of markets to the east more quickly than was previously anticipated. Softer markets put pressure on most oil and gas producers (exporters) to reform or improve their domestic energy policies to ensure greater resilience.Finally, major consumers and importers are searching for ways to tap into the relative economic advantage achieved by the United States.
Personalmente, comunque, alla luce dei recenti eventi ucraini, consiglio di dare un’occhiata in particolare alle analisi su Russia ed Europa.