Un bel commento alla vicenda “Datagate” firmato Bill Emmott: “Così svanisce il mito dell’intelligence americana“.
«Non farsi prendere». Mi ha risposto così un ex alto funzionario dell’intelligence britannica quando gli ho chiesto quali principi dovrebbero regolare le attività delle agenzie di spionaggio quando mettono sotto controllo i loro alleati. Questo non significa che la polemica sulla Nsa americana che ascolta le telefonate di Angela Merkel non sia importante. Ma significa che è importante per un motivo diverso dall’idea ingenua che spiarsi tra alleati sia «inaccettabile», come si è sentita in obbligo di dire la Cancelliera. Il motivo per cui sono importanti le rivelazioni sulla Nsa che continuano ad arrivare dal loro ex dipendente, Edward Snowden, che ha ottenuto asilo politico in Russia, hanno a che fare con la competenza.
[…] La prima cosa scioccante per le altre agenzie di spionaggio, come l’MI6 britannico, è che la Nsa si sia fatta scoprire. Ma la seconda cosa sconvolgente è quanto alla Nsa siano stati incapaci di mantenere non solo questo segreto, ma tutta la storia della loro vasta attività di sorveglianza. Ma accanto a questa verità sull’arroganza americana, una costante della vita occidentale fin dalla Seconda guerra mondiale, si è affermata anche la convinzione che della competenza degli americani più o meno ci si poteva fidare. La vicenda Snowden ha distrutto questa convinzione. Snowden era un collaboratore informatico di prima nomina. Non era una spia provetta e neppure un genio del computer. Se era a conoscenza lui del programma di sorveglianza della Nsa e aveva accesso a informazioni sulle registrazioni delle conversazioni telefoniche dei leader mondiali, allora lo stesso vale per migliaia o forse decine di migliaia di altri dipendenti. Questo va contro l’essenza delle operazioni di intelligence: la severa protezione delle informazioni all’interno di piccoli gruppi di persone in base al principio che «hanno bisogno di sapere».