Ne abbiamo già accennato diverse volte in passato: anche i Servizi devono competere per acquisire sul mercato le migliori risorse umane e, una volta acquisite, devono essere in grado di tenersele. Per questo motivo l’ufficio ispettivo della CIA, tra il 2004 ed il 2005, ha effettuato un audit interno allo scopo di valutare le capacità di “fidelizzazione” dell’Agenzia nei confronti dei propri dipendenti. All’ispezione del 2005, il cui report non è mai stato reso pubblico, ha fatto seguito un “follow-up” nel 2009 i cui risultati sono stati declassificati qualche giorno fa e sintetizzati in un articolo del Los Angeles Times.
Dalla lettura delle 60 pagine del documento si possono scoprire diverse cose. Ad esempio che a metà degli anni Duemila la quota di “fuoriuscite” dalla CIA era più alta rispetto a quella riscontrata nel 2009 (si veda tabella a pagina 3 del report): 5,4 contro il 3,5. Particolarmente alta, peraltro, nell’area direttiva: 7,7 contro 4,4 del 2009.
Secondo quanto scritto nel documento si sarebbe passati, quindi, da una percentuale “inusualmente elevata nel 2005” ad un crollo storico nel 2009. Quest’ultimo però sarebbe “artificiale” e dovuto a fattori esterni alla CIA, in primis alla crisi economica ed alla difficoltà nel ricollocarsi lavorativamente al di fuori dell’Agenzia.
Nonostante ciò, comunque, alcuni dei dati attuali allarmano la dirigenza. Da un lato, il numero ristretto di licenziamenti rallenta il turn-over fisiologico e riduce la possibilità di assumere personale con competenze particolari e nuove ma considerate indispensabili. Dall’altro lato, le fuoriuscite di personale altamente qualificato dal settore operativo e dalla divisione tecnologica sembrano destare particolari preoccupazioni. Si potrebbe ipotizzare (parere personale, sia chiaro) che essendo proprio queste le competenze più ricercate dal mercato è più difficile “fidelizzarle”, ancor di più da parte di un’amministrazione pubblica particolare come un Servizio segreto.
Peraltro, tra coloro che decidono di lasciare la CIA le motivazioni principali sono: a) mancanza di possibilità di avanzamento di carriera; b) cattiva gestione da parte dei dirigenti e c) insufficiente comunicazione su aspetti rilevanti del lavoro. E’ appena il caso di notare che, riguardo al punto a), un ristretto turn-over incide particolarmente sul vertice della piramide. Semplicisticamente: i dirigenti non liberano i posti e quindi diventa molto difficile l’avanzamento di carriera.
Riguardo al punto b), invece, i dati sembrano indicare che è proprio la dirigenza del settore operativo quella più criticata dai propri funzionari (si veda figura a pagina 21) perchè considerata poco capace. Si critica, in particolare, l’assenza di “accountability” ed è lo stesso ufficio ispettivo a sottolineare che l’Agenzia non è stata in grado di intraprendere azioni idonee a modificare tale tendenza.
Un’altra cosa interessante che si può scoprire leggendo il documento è che, per quanto riguarda la mobilità inter-agenzia, sia il Directorate of Intelligence (la struttura analitica dell’Agenzia) che il settore logistico nel lungo periodo tendono a perdere personale più di quanto non ne acquisiscano. Purtroppo alcune parti di questa sezione sono censurate per cui non è possibile capire il perchè il settore operativo e quello tecnologico attraggano i dipendenti della CIA maggiormente rispetto a quello analitico e logistico.
Insomma, stare sul mercato, per un’agenzia di intelligence, non è proprio semplicissimo. Attrarre, reclutare e formare i più bravi e capaci, non lasciandoseli sfuggire, è una mission tanto difficile quanto strategica per una burocrazia il cui core-business è l’elaborazione della conoscenza.