Da La Stampa di oggi, di Maurizio Molinari:
Armi nucleari e più risorse alla guerra cibernetica: il discorso sullo Stato dell’Unione che il presidente Barack Obama pronuncia questa sera al Congresso di Washington contiene un duplice passo che ridefinisce le priorità della Difesa. Riguardo alle armi nucleari, anticipa il «New York Times» citando fonti della Casa Bianca, intenderebbe ridurle dall’attuale numero di circa 1700 testate a quota 1000. Ciò significa scendere al di sotto della quota minima di 1550, prevista dagli ultimi trattati siglati con la Russia, e Obama vuole farlo passando attraverso una nuova intesa con il Cremlino di Vladimir Putin. Il consigliere per la sicurezza, Tom Donilon, partirà per Mosca entro la fine della settimana per esplorare la possibilità di un patto ad hoc con la Russia che Obama vuole però più snello di quelli passati, a cominciare dalla necessità di evitare la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali. L’ex vicecapo degli Stati Maggiori Congiunti, James Cartwright, è uno stretto consigliere strategico di Obama su questo argomento e spiega la scelta della Casa Bianca con la constatazione che «i nostri attuali arsenali non sono strutturati per fronteggiare le minacce del XXI secolo».
D’altra parte Obama, sin dal discorso pronunciato a Praga della primavera 2009, indicò la volontà di procedere verso un mondo «senza atomiche» e l’accelerazione che si accinge a fare punta ad avvicinare tale obiettivo spingendo Mosca ad approvare analoghe riduzioni in tempi stretti. «I tagli a cui pensa la Casa Bianca non comportano una modifica radicale dell’arsenale nucleare americano basato su ordigni posizionati su missili, navi e aerei – aggiunge Daryl K Jimball, direttore dell’Arms Control Association – e ciò li rende politicamente più facili da realizzare».
Sul fronte delle «nuove minacce da affrontare» Obama vuole rafforzare invece l’impegno nella cybersicurezza: la recente decisione di portare da 400 a 1900 i dipendenti del «Cyber Command» del Pentagono preannuncia una sua trasformazione da compiti esclusivamente di difesa a possibili attacchi contro obiettivi nemici. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le rivelazioni di aggressioni cibernetiche contro istituzioni e industrie americane da parte di hacker basati in Cina e Iran, portando il Congresso a premere sulla Casa Bianca affinché destini più risorse a tale fronte.
Ad avvalorare la dimensione di tali nuovi pericoli è la nuova «National Intelligence Estimate» – il rapporto che rappresenta il consenso fra le 16 agenzie di intelligence – che punta l’indice sulla Cina per «i tentativi aggressivi di penetrare il governo e il settore privato al fine di ottenere informazioni che possono essere adoperate per vantaggi economici». Secondo il documento, reso noto dal «Washington Post», gli hacker cinesi negli ultimi cinque anni hanno concentrato gli attacchi nei settori di energia, finanza, information technology, aerospazio e industria dell’auto causando all’economia degli Stati Uniti «danni molto ingenti ancora difficili da quantificare». Per l’intelligence Usa «gli attacchi degli hacker iraniani» sono iniziati «più di recente» mentre altre tre nazioni tentano di condurre «con intensità assai minore» operazioni di cyberspionaggio: Russia, Israele e Francia.