Un articolo di Alberto Negri pubblicato oggi sul Sole 24ore:
I governi cambiano ma gli interessi restano, aveva dichiarato al momento della sua investitura a ministro degli esteri l’esperto e pramatico Laurent Fabius, alludendo nel contesto africano all’implosione in atto nel Mali che metteva in pericolo l’influenza nell’area di Parigi e regimi locali come quello del Niger, un Paese da cui la Francia dipende per le sue forniture di uranio come gli Stati Uniti dal petrolio saudita.
Quali siano gli interessi italiani nel Sahel lo ha spiegato il leader libico Magarief al presidente della Repubblica Napolitano, assai preoccupato dopo l’agguato di Bengasi al console Guido De Sanctis. «L’Italia ha un interesse diretto all’intervento francese perchè l’instabilità dell’interno del Maghreb rappresenta per la Libia una grossa falla che Tripoli da sola non è in grado di arginare», ha affermato il presidente ad interim libico. Il Sud della Libia, il Fezzan, è fuori dal controllo delle labili autorità libiche, a Est la Cirenaica, dove c’è l’80% delle riserve petrolifere, invia segnali di costante disgregazione. Alla caduta del regime di Gheddafi, il ritorno delle milizie Tuareg in Mali e il saccheggio degli arsenali militari del Colonnello, è stata una delle cause che ha innescato il collasso maliano.
Il conflitto in Mali ha caratteristiche differenti da altri scenari di guerra in Africa che di solito hanno conseguenze marginali per l’Occidente. Le parole di Magarief confermano che l’intervento francese è comunque percepito come parte di un arco della crisi che investe tutto il Sahel, la fascia nevralgica che sotto il Sahara salda l’Africa bianca a quella nera, le risorse energetiche del Maghreb con quelle minerarie del Sud.
L’avanzata dei movimenti radicali islamici e di gruppi con il marchio di Al Qaida insieme ai postumi delle primavere arabe hanno creato una sorta di buco nero geopolitico in un’area dove non c’è soltanto uno stato fallito, il Mali, ma una vasta aerea grigia: dal Sahel, tanto per fare un esempio, passa il 60% della cocaina sudamericana venduta in Europa.
La guerra in Mali ci riguarda per i rapporti con la Libia ma anche con l’Algeria, il nostro secondo fornitore di gas. In Mali gli affari economici italiani sembrano trascurabili, soprattutto da quando l’Eni ha rinunciato alle concessioni petrolifere di Taoudeni in joint venture con l’algerina Sonatrach. Ma il fatto stesso che gli algerini avessero spinto l’Eni ad andare in Mali aveva un significato politico oltre che economico: Algeri coltiva ambizioni di potenza egemone nell’area e il Mali fa parte del suo cortile di casa. Gheddafi sosteneva con generose donazioni i bilanci di Bamako ma toccava agli algerini tenere d’occhio i movimenti Tuareg e i gruppi islamici cone l’Aqmi, Al Qaida nel Maghreb, e Ansar Eddine dove i capi sono vecchie conoscenze del Dis, i servizi di intelligence di Algeri.
Forse qui abbiamo la memoria corta ma l’Italia in Algeria è stata coinvolta in importanti questioni di sicurezza durante gli anni di piombo, quando lo scontro con gli islamisti provocò 10 anni di terrore con un bilancio di 200mila morti. Italiani e algerini hanno collaborato intensamente nel controllo dei gruppi islamici che si muovevano dalla sponda del Maghreb verso Nord.
Anche l’Italia è interessata al Sahel, altrimenti che ci facciamo in mezzo al Mediterraneo? Sulla sponda Sud abbiamo un interscambio di 57 miliardi di euro l’anno e siamo sempre tra i primi tre partner economici di tutti i Paesi affacciati sul Maghreb. La loro sicurezza è la nostra.
In questa operazione Serval – il felino africano che con un balzo indietro della storia compare anche nello stemma dei principi Tomasi di Lampedusa – ci sono già dei fallimenti e delle manipolazioni di stampo gattopardesco.L’Algeria si è dimostrata incapace con gli agenti infiltrati in Mali e le sue relazioni storiche di bloccare l’avanzata prima dei Tuareg e poi degli islamisti, spingendo la Francia all’intervento per salvare Bamako.
Gli Stati Uniti hanno versato negli anni scorsi 500 milioni di dollari per addestrare un esercito maliano che si è dato a gambe ai primi scontri e uno dei loro uomini, il capitano Sanogo, che doveva essere il De Gaulle del Mali, ha condotto un colpo di stato inconcludente.Certo tutti questi temi possono sembrare lontani dal dibattito politico nostrano. Per altro il caso della Libia, dove siamo stati colti di sorpresa proprio dall’attivismo dei francesi, ha già dimostrato che non solo non siamo quasi mai protagonisti delle vicende mediterranee ma neppure tanto bene informati su quanto accade sotto casa.
Aggiungo il link a questo documento dell’International Crisis Group. E’ della scorsa estate ed è un dossier sulla crisi in Mali molto ben fatto: “Mali: Avoiding Escalation“.