L’Institute for Economics and Peace ha pubblicato oggi il primo Global Terrorism Index, uno studio nel quale viene analizzato l’impatto del terrorismo in 158 Paesi, in un arco di 10 anni (2002 – 2011), valutandone le conseguenze economiche e sociali (per la metodologia impiegata si veda pag. 9 del report). Un lavoro interessante e che si basa sui dati raccolti dallo START nel suo Global Terrorism Database.
Spulciando tra i risultati si scopre (si fa per dire) che a livello globale l’impatto del terrorismo è cresciuto tra il 2002 ed il 2007, con il picco raggiunto in quest’ultimo anno. Nel periodo esaminato vi è stato un aumento del 460% negli attacchi, del 195% nei morti e del 224% nei feriti. Più di un terzo delle vittime si sono avute in Iraq che, quindi, possiamo considerare l’epicentro dell’ondata terroristica degli anni Duemila.
Nel 2011 ci sono stati oltre 4500 attacchi in tutto il mondo, con 7473 morti e quasi 14000 feriti. Bersagli preferiti sono, ovviamente, quelli “soft”. Solo il 4%, infatti, ha riguardato personale ed installazioni militari. Il 91% degli attacchi ha avuto successo. Percentuale veramente molto elevata
Si scopre (si fa per dire), inoltre, che la correlazione tra povertà e terrorismo non è così automatica e scontata come molti (!) hanno sostenuto. Il numero maggiore di episodi terroristici, infatti, si ha nei Paesi “middle-income” e non in quelli “low-income”.
Ma tra tutti i dati, uno in particolare mi ha colpito. Leggo che, secondo le statistiche, nel 2011 il 91% degli attacchi ha avuto successo. Nel corso del decennio tale dato si è mantenuto, addirittura, tra l’89 ed il 97% (!!!). Percentuali incredibilmente alte che, se incrociate con i livelli di letalità degli attacchi, dovrebbero far molto riflettere sul rapporto costi-opportunità degli attacchi terroristici, soprattutto rispetto ad altri tipi di (cyber)attacchi…