di Maurizio Molinari, su La Stampa del 19 agosto:
"L'allarme sul Sinai nuovo focolaio di terrorismo è suonato a Washington fra la fine di luglio e l'inizio di agosto quando in almeno una occasione gruppi di miliziani armati, mascherati e inneggianti all'Islam hanno attaccato la stazione di polizia di al Arish, nel Nord-Est del deserto egiziano, a breve distanza dal confine con la Striscia di Gaza, per affermare la capacità di operare alla luce del sole, reclamando il controllo del territorio.
«Sin dall'ultimo periodo della presidenza di Hosni Mubarak sapevano che gruppi jihadisti alleati a tribù beduine gestivano traffici illegali nel Nord-Est del Sinai – spiega Jeffrey White, ex analista dell'Intelligence americana ora in forza al Washington Institute sul Vicino Oriente – ma non era mai avvenuto nulla di simile».
Secondo una ricostruzione curata da Dina Guirguis e Eric Trager, che seguono quanto avviene nel Sinai per conto del Washington Institute incrociando i rapporti della sicurezza egiziana con le valutazioni americane, «gli uomini armati cantavano slogan jihadisti, hanno lanciato granate contro la sede della polizia, ucciso cinque persone e ferito altre 15, e nella stessa giornata hanno poi attaccato con i lanciagranate la stazione del gasdotto di Sheikh Zuwaid da dove si diramano le tubature che portano il gas naturale fino Israele e Giordania».
Lo stesso gasdotto era stato più volte in precedenza colpito da sabotaggi ma in questa occasione si è trattato di qualcosa di più: una prova di forza che ha sollevato inquietudine a Washington per via del fatto che in precedenza un gruppo sconosciuto denominato Al Qaeda nella Penisola del Sinai aveva annunciato la propria formazione su diversi siti jihadisti, facendo circolare nelle moschee di al Arish dei volantini che invocavano la creazione di uno Stato islamico nel Sinai con una fraseologia che ripete quella adoperata da cellule affiliate ad Al Qaeda nella Penisola arabica e in Iraq. «Trasformeremo un deserto di pietre in un Emirato del Profeta» si leggeva fra l'altro nel testo.
L'Intelligence israeliana ha condiviso con Washington una stima di «circa 400 miliziani di Al Qaeda» che sarebbero operativi nel Sinai grazie a margini di manovra superiori al passato, dovuti all'indebolimento della presenza della polizia egiziana seguita alla caduta di Mubarak in febbraio. Si tratterebbe di cellule in contatto anche con i trafficanti di uomini che gestiscono il passaggio attraverso il Sinai di clandestini provenienti dal Sudan e diretti in Israele. In assenza di conferme sull'entità delle cellule jihadiste, l'attenzione degli Stati Uniti si concentra sulla presenza nel Sinai di «network di tribù beduine» che operano a dispetto del governo del Cairo, gestendo gran parte dei traffici illeciti che alimentano la Striscia di Gaza.
Una recente inchiesta del «New York Times» ha descritto la floridezza di tali reti di trafficanti, la cui più recente evoluzione consiste nel far arrivare dalla Libia in preda alla guerra civile centinaia di automobili in eccellenti condizioni che vengono messe all'asta nell'area di al Arish, acquistate da palestinesi giunti dalla Striscia di Gaza e quindi fatte arrivare a destinazione attraverso un reticolo di tunnel sotto i confini con l'Egitto.
La compravendita di circa 250 auto a settimana alimenta un giro d'affari per centinaia di migliaia di dollari che consente alle tribù beduine di armarsi in maniera sempre più sofisticata alleandosi a gruppi jihadisti il cui interesse è sfidare l'autorità indebolita del governo ad interim egiziano, colpire Israele come avvenuto ieri nell'area di Eilat e soprattutto rafforzare i legami con Gaza, dove puntano a creare network in aperta concorrenza con Hamas.
«È lecito supporre che l'amministrazione Obama e l'Egitto stiano coordinando le mosse per impedire che il Sinai diventi una zona preda di terroristi», osserva White, secondo cui «sono state le richieste Usa nelle ultime settimane a spingere gli egiziani a far tornare alcuni contingenti di polizia». Ma gli attacchi di ieri provano che non è bastato: che si tratti di un blitz dei jihadisti del deserto o proveniente da Gaza, il retroterra logistico è nel Sinai."