Un post su 2+2, interessante blog del Foglio, in occasione dell’uscita del nuovo libro di Carlo Jean e Paolo Savona.
Per fare una guerra in economia le armi non servono. Avere informazioni altrui, proteggendo le proprie, è sufficiente per ipotecare la vittoria. Per questo, a livello internazionale, l’“intelligence economica” ha acquisito sempre più importanza nell’apparato statale. In Italia, invece, tale consapevolezza non si è ancora affermata, stando a indiscrezioni, numeri e rapporti citati in un volume che uscirà la prossima settimana scritto da Carlo Jean, presidente del Centro studi di geopolitica economica e con una carriera a cavallo tra mondo militare e accademia, e Paolo Savona, già in Bankitalia, ex ministro dell’Industria e oggi presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi.
“Nessuna potenza industriale può fare a meno dell’intelligence economica nel mondo globalizzato – spiegano gli autori nel volume “Intelligence economica” (Rubbettino-Fondazione Icsa) – La concorrenza si è trasformata in competizione globale non solo fra le imprese, ma pure fra i sistemi-paese, anche quelli più integrati o alleati politicamente”. Accanto agli imprescindibili meccanismi di mercato, gli attori globali si muovono sempre più “secondo logiche analoghe a quelle impiegate in campo strategico militare, allorquando si discute della priorità da attribuire alla conquista del terreno o dell’annientamento delle forze nemiche”. Per stabilire a che punto si trovi l’Italia, Jean e Savona analizzano tra l’altro i principali rapporti dei nostri servizi segreti alle istituzioni. Dalla più recente relazione degli 007 per la presidenza del Consiglio dei ministri, relativa al 2009, emerge per esempio che la percentuale degli argomenti trattati inerenti alla sicurezza economica (26,9 per cento) è del tutto simile a quella riguardante la criminalità organizzata e la minaccia eversiva interna. Una percentuale decisamente “inferiore” a quella di altri paesi: l’MI6, i servizi inglesi, dedica il 60 per cento del proprio bilancio a questo settore. I francesi del Dgse la metà del totale. I bilanci di Germania e Giappone sono ignoti ma “la loro organizzazione è fondata sull’apporto determinante del privato, realizzato con una capillare diffusione della cultura dell’intelligence, unita a una particolare coesione nazionale e a stretti legami esistenti fra banche e imprese”.
Non è un caso che tuttora in Italia non esista un organismo che si occupi di intelligence economica presso la presidenza del Consiglio. Negli Stati Uniti sono invece attivi il National Economic Council (Nec) e il National Security Council (Nsc)*. Mentre in Francia il Comité pour la compétitivité et l’intelligence économique ha delegazioni proprie presso ciascun dicastero ed è presente anche a livello regionale. Proprio l’esempio francese “costituisce un modello interessante per l’Italia”, notano gli autori. Jean e Savona osservano pure che “il concetto di sicurezza economica è sempre stato ed è focalizzato in Italia sugli aspetti difensivi e principalmente riferito a due settori”: protezione delle tecnologie, del know-how strategico per la sicurezza nazionale o alleata, contrasto alla criminalità organizzata e al finanziamento del terrorismo. “Minore rilievo” pare essere attribuito all’intelligence economica “offensiva”, “destinata ad accrescere la competitività economica nazionale e delle nostre imprese, a favorirne la penetrazione sui mercati esteri, a proteggerle da pratiche sleali (quali la corruzione, la contraffazione, le pressioni politiche degli altri stati a favore delle loro imprese ma a danno di quelle italiane), nonché allo spionaggio e controspionaggio industriali e tecnologici”.
Quel che è certo, lasciano intendere gli autori sin dalla loro dedica a Francesco Cossiga, “Maestro di Intelligence”, è che nell’economia torneranno a essere decisive le scelte della politica, seppure non sotto forma di interventismo o pianificazione, e che più dei “dettati dell’intelligence economica” peseranno allora “i leader che li applicano.
* Piccola nota: nè il National Economic Council nè il National Security Council sono propriamente strutture di intelligence economica, bensì comitati interministeriali che si occupano di policy. Il primo, tra l’altro, è sostanzialmente l’equivalente del nostro CIPE.