Sottotitolo: è tornata zia Amy…
Come forse molti sapranno Amy Zegart (zia Amy, appunto) è una docente di Public Policy presso la UCLA di Los Angeles, ricercatrice presso alcuni importanti centri studi ed è specializzata – cosa rara nel panorama accademico – nello studio delle dinamiche organizzative degli apparati di sicurezza nazionale. Notevoli i suoi testi "Flawed by design" e "Spying Blind".
Nel primo, pubblicato nel 1999, la Zegart sostiene la strutturale inadeguatezza di alcuni di alcuni dei principali organi della sicurezza americana: la CIA, il National Security Council ed il Joint Chiefs of Staff. Secondo la docente questi apparati, istituiti col National Security Act del 1947, vennero concepiti fin dall'inizio con una serie congenita di "debolezze strutturali", mai del tutto eliminate successivamente, che ne hanno consistentemente minato l'efficienza.
Nel secondo, pubblicato nel 2009, la Zegart esamina il fallimento dell'11 settembre 2001dal punto di vista della teoria dell'organizzazione sostenendo che alla base di tale failure vi sia stata una non funzionale organizzazione delle principali Agenzie d'intelligence, inadeguate ad un'efficace attività di contro-terrorismo (per chi volesse approfondire la tesi della Zegart qui, qui e qui ma anche qui e qui).
Insomma, zia Amy offre spesso interessanti spunti di riflessione per tutti coloro che, come il sottoscritto, fanno ricerca nel settore degli studi strategici ed hanno una predilezione per l'approccio organizzativo e per lo studio dei processi decisionali.
Nel settembre di quest'anno zia Amy ha tenuto un seminario presso il Center for International and Security Cooperation di Stanford nell'ambito del quale ha presentato un paper dal titolo "Intelligence, Organization Theory and the Cuban Missile Crisis".
Nel documento la Zegart solleva diversi dubbi sull'efficacia dei Servizi di informazione statunitensi in occasione della crisi dei missili di Cuba del 1962.
E' opinione diffusa, infatti, sia tra gli accademici* che all'interno della stessa comunità di Intelligence statunitense, che nella c.d. crisi di ottobre l'intelligence americana, ed in particolare la funzione "warning", abbia segnato un punto a proprio favore. Un successo dovuto alla scoperta delle installazioni missilistiche sull'isola in tempo utile a prevenirne la loro operatività.
"American intelligence did positively identify Soviet missiles prior to their becoming operational, which permitted the Kennedy administration to seize the initiative in attempting to secure their removal (…) Intelligence did do its job" (pag. 10).
La Zegart è però di parere differente ed esaminando la documentazione oramai desecretata giunge a conclusioni opposte.
Zia Amy prende in esame i quattro National Intelligence Estimates sulla questione cubana prodotti prima dello scoppio della crisi. Il primo del 17 gennaio 1962, l'ultimo del 19 settembre. La ricognizione degli U2 scoprirà la base missilistica il 14 ottobre.
Il National Intelligence Estimate è, come ho avuto modo di scrivere tante altre volte, il prodotto strategico-previsionale di punta dell'intelligence americana e rappresenta il punto di vista della Comunità nel suo complesso.
Rimandando per i dettagli alla lettura del paper, dall'esame dei NIEs emerge con chiarezza che l'intelligence statunitense non colse alcun sostanziale cambiamento nelle intenzioni della dirigenza sovietica e nelle capacità militari sul campo. Ciò nonostante risultasse comunque evidente all'intelligence il progressivo build-up militare a Cuba.
In merito all'ultimo NIE (SNIE 85-3-62), concluso meno di un mese prima dello scoppio della crisi, la Zegart scrive (pag. 7 ed 8):
"The estimate notes that between mid-July and early September, approximately 70 ships had delivered Soviet weaponry and construction equipment. That number was three to four times greater than total Soviet shipments for the entire first half of 1962 (…). Indeed, so concerned was President Kennedy by the new intelligence that he made explicit public warnings on September 4th and again on September 13th that if the Soviets placed offensive weapons in Cuba, “the gravest issues would arise,” a warning understood to imply potential nuclear confrontation. (…) Nevertheless, this crucial intelligence estimate still concluded that, “Soviet policy remains fundamentally unaltered.” For the fourth time in nine months, a national intelligence estimate asserted that Soviet activities in Cuba were meant to deter an American attack there and sustain a vital ideological victory for the communist cause. (…) "The establishment on Cuban soil of Soviet nuclear striking forces which could be used against the U.S. would be incompatible with Soviet policy as we presently estimate it,” the estimate starkly concluded. The estimate justified this judgment at some length, noting that the Soviets had never placed any such weapons even in Soviet satellite countries before, that missiles would pose significant command and control problems, that they would require “a conspicuously larger number of Soviet personnel” in Cuba, and that the Soviets would “almost certainly” know that such a move would provoke “a dangerous U.S. reaction" ".
Le informazioni quindi erano state raccolte, erano presenti all'interno del sistema e l'incremento del coinvolgimento militare sovietico nell'isola era conosciuto dalle agenzie di spionaggio. Tutto ciò però non venne letto come un cambiamento nella linea di condotta e nella strategia comunista.
Tale maggiore dispiegamento di uomini ed armi, secondo le analisi dell'Intelligence Community, era meramente difensivo e volto a proteggere Cuba da un eventuale attacco americano.
Alcuni autorevoli dirigenti americani successivamente giustificarono l'errore dell'intelligence USA attribuendolo all'irrazionalità e quindi all'assoluta imprevedibilità del comportamento da parte della dirigenza moscovita.
In parole povere: i sovietici sono usciti fuori di testa e non era possibile prevederlo.
Per la Zegart, però, tale spiegazione non è corretta e citando il più famoso manuale sulla warning intelligence scrive (pag. 14.):
"This argument also contradicts one of the most important maxims of intelligence warning: Good warning analysis does not discount anomalies, it targets them. Grabo's primer , which has been required reading for warning analysts for years, notes, "While not all anomalies lead to crises all crises are made up of anomalies" (…). By this measure, the Cuban missile crisis seems a textbook case of anomaly leading to crisis. The Soviets had never taken such risks before. Nor had they ever provided such an extraordinary level of military aid to Cuba. But starting in the spring of 1962, ships were sailing, and by summer, crates of weapons – lots of them – were being unloaded. Something different was definitely afoot, and US intelligence officials knew it. Yet their estimates confronted these anomalies and declared them more of the same".
Secondo zia Amy, quindi, la crisi dei missili di Cuba lungi dall'essere un successo dell'Intelligence Community è invece un suo fallimento.
Un fallimento che può essere ben spiegato da una prospettiva di analisi organizzativa**.
Saltando alle conclusioni (invito a cimentarsi con la lettura del paper perchè molto interessante), la Zegart sostiene che l'organizzazione del complesso processo analitico alla base del NIE nonchè la struttura stessa della Comunità d'intelligence (compartimentazione, alta specializzazione e divisione del lavoro tra diversi uffici, burocratizzazione) impedirono, anche di fronte all'emergere di nuovi elementi informativi, di modificare i precedenti, consolidati, assunti e di presentare alla leadership presidenziale nuove ed allarmanti previsioni.
Insomma, una sorta di inerzia burocratica e di rigidità strutturale al cambiamento.
Di fatto gli stessi problemi che, secondo la Zegart, saranno poi alla base del fallimento dell'11 settembre.
Buona lettura 😉
Organization Theory, Intelligence, And the Cuban Missile Crisis
* Sulla crisi e sulla gestione della stessa esiste una vastissima letteratura in merito a cominciare dal famoso "Essence of Decision" di Graham Allison e Philip Zelikov.
** "Ever since Graham Allison penned Essence of Decision (1971), a great deal of scholarship has focused on the pitfalls of individual perception and cognition (Jervis 1976; Blight and Welch 1998; Haas 2001: Kahneman and Tversky 1979; Renshon 2009), as well as organizational weaknesses in the policymaking process (Halperin 1974; George 1980; Bendor and Hammond 1992). Surprisingly little work, however, has examined the crucial role of organizational weaknesses in intelligence analysis. The paper seeks to fill the gap, shining a light on the organizational deficiencies that lurked in the background and led analysts to make the wrong call. " (pag. 2).
A tal proposito in italiano segnalo le ricerche del Prof. Catino dell'Università di Milano-Bicocca i cui studi hanno hanno riguardato anche le strutture di intelligence.