Eccoci arrivati alla fine della “review” del manuale di Heuer e Pherson.
Come sottolineato all’inizio di questa serie di post, nella scelta delle tecniche ho fatto riferimento alle procedure la cui conoscenza è, secondo gli autori, indispensabile per l’analista di intelligence. Le ultime due che esamineremo in questo post finale sono veramente molto semplici.
La prima è la “Structured Self-Critique” e si tratta, per l’appunto, di un’autocritica strutturata effettuata da un team di analisti. Una volta conclusa l’analisi gli analisti devono sforzarsi di adottare una prospettiva diametralmente opposta diventando volutamente critici della propria analisi. Una sorta di “avvocato del diavolo” di se stessi, per intenderci.
Lo scopo, come per tutte le “reframing techniques“, è quello di saggiare la solidità dell’analisi tentando di individuarne le vulnerabilità. Ovviamente, essendo le stesse persone quelle che eseguono l’analisi e che successivamente effettuano la critica, il successo della “Structured Self-Critique” dipenderà molto dalla loro capacità e dalla flessibilità nel riconvertirsi ad un altro ruolo diventando critici di ciò che hanno prodotto.
La tecnica ha una procedura leggera. Heuer e Pherson consigliano di effettuarla in una sessione separata e sotto la guida di un leader differente da quello usuale. Dovrà inoltre essere chiarito che gli analisti saranno valutati in base alla loro “abilità nel trovare debolezze” (confesso che questo punto mi lascia un po’ perplesso…).
Gli autori indicano una serie di punti sui quali gli analisti dovrebbero soffermarsi ovvero: “sources of uncertainty“, “analytic process“, “critical assumptions“, “diagnostic evidence“, “information gaps“, “missing and anomalous evidence“, “changes in the broad environment“, “alternative decision models“, “cultural expertise“, “deception“. Aspetti dell’analisi (o del processo) che il gruppo dovrebbe affrontare criticamente al fine di testare il “the appropriate level of confidence in the team’s previous judgment”.
La seconda, ed ultima, è la “What If? Analysis” che secondo Heuer e Pherson “creates an awarness that prepares the mind to recognize early signs of a significant change“.
La tecnica infatti consiste nell’immaginare che un evento ipotetico sia realmente accaduto per poi ragionare sulle motivazioni, sulle cause e sull’impatto che tale evento produrrebbe.
Esempio semplicissimo. Evento ipotetico: al Qaeda ha attaccato New York con un ordigno nucleare. Analisi: com’è successo? Quali fatti hanno portato alla realizzazione dell’attacco? Quali conseguenze (politiche, economiche, sanitarie, nazionali, internazionali, ecc) ha l’attentato?
L’analisi può evidenziare attraverso il c.d. “backwards thinking” (un ragionamento a ritroso, insomma) più possibili concatenazioni causali a monte dell’evento così come più scenari che potrebbero svilupparsi come conseguenza dell’attentato. In tal modo, tramite la “What If? Analysis“, l’analista può individuare una lista di indicatori da monitorare successivamente in funzione di early warning, anche su eventi ritenuti in quel momento difficilmente realizzabili.
Tirando le somme, ho trovato il manuale interessante e stimolante e personalmente ne consiglio la lettura ai cultori della disciplina o agli appassionati della materia. L’unico appunto che farei agli autori è la scarsezza di esempi pratici il che, soprattutto a chi non ha nessuna familiarità con la materia, può causare qualche problema nella comprensione delle tecniche più complesse.
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