Su segnalazione di Babbano riporto l'articolo di Maurizio Molinari pubblicato su La Stampa.
"Hosni Mubarak è in fin di vita e in Egitto è pieno svolgimento una lotta per la successione che costituisce un serio grattacapo mediorientale per l’amministrazione Obama. La malattia sarebbe un tumore al pancreas e, secondo quanto riportato dal Washington Times citando fonti di intelligence americane, dopo l’intervento chirurgico avvenuto in Germania in marzo l’82enne presidente egiziano è entrato nello stato terminale, con le prospettive di sopravvivenza «che non vanno oltre 12-18 mesi» secondo Steven Cook, l’arabista del Council on Foreign Relations appena tornato dal Cairo.
«Sappiamo che sta morendo ma non possiamo dire con sicurezza quando avverrà – afferma un funzionario dell’intellingence Usa al Washington Times – come il caso di Fidel Castro dimostra». Jonathan Schanzer, ex analista dell’intelligence al ministero del Tesoro in forza alla Fondazione per la difesa delle democrazie di Washington conferma: «Dal ritorno di Mubarak dall’Europa sappiamo che i suoi giorni sono contati e l’amministrazione Obama sta esaminando gli scenari della successione». Cook aggiunge ulteriori dettagli: «Un intero piano dell’ospedale nel quartiere di Mahdi è pronto ad accogliere Mubarak in qualsiasi momento, nel frattempo gli iniettano una sostanza che gli consente di essere in condizioni sufficienti per apparire in pubblico».
Il presidente della commissione Esteri del Senato John Kerry durante una recente visita a Roma ha definito il futuro dell’Egitto «la maggiore preoccupazione degli Stati Uniti riguardo al Medio Oriente» in ragione del fatto che si tratta del più stretto alleato nel mondo arabo, perno della pace con Israele nonché destinatario di 1,5 miliardi di aiuti annui. La Casa Bianca ha creato un «gruppo di lavoro» ad hoc per tenere aggiornato Obama su ogni sviluppo. Il timore di Washington si deve al fatto che la successione di Mubarak è disseminata di incognite: il Raiss non ha mai voluto un vice ma a partire dal 2000 ha manovrato per far emergere nel suo Partito nazional democratico (Pnd) il figlio Gamal, classe 1963, in vista delle presidenziali del settembre 2011 che potranno avere, per la seconda volta dal 2005, più candidati. Il piano di Mubarak, che salì al potere nel 1981 dopo l’assassinio di Anwar Sadat, è di arrivare al voto con una sfida fra Gamal e il candidato meno popolare fra i rivali per far vincere il figlio attraverso un processo apparentemente democratico.
«Ma su questa strada vi sono due grandi ostacoli» osserva Schanzer. Il primo è Mohammed El Baradei, l’ex presidente dell’Agenzia atomica dell’Onu vincitore del Nobel per la pace nel 2005, che sta conducendo una campagna modellata su quella di Obama nel 2008 con siti Internet, attività per i giovani e i messaggi di «Hope» (Speranza) e «Change» (Cambiamento). Le stime informali a Washington assegnano a El Baradei una base i «centinaia di migliaia di sostenitori» che lo trasforma in un candidato capace di creare difficoltà a Gamal. Ma non è tutto perché, concordano Cook e Schanzer, «se si votasse oggi a prendere più voti sarebbe il partito islamico dei Fratelli Musulmani» anche se sulla carta non ha candidati. Ciò significa che il Pnd dovrà tentare di neutralizzare la candidatura dei Fratelli Musulmani per aprire la strada a Gamal, andando incontro a tensioni dalle conseguenze imprevedibili.
Sullo sfondo c’è anche un terzo candidato, il capo dell’intelligence Omar Suleiman che gode del sostegno dei militari e si è guadagnato la stima delle capitale arabe e occidentali per l’impegno nel favorire la riconciliazione a Gaza fra Hamas e Al Fatah: ma politicamente è debole se il Pnd sosterrà Gamal. In attesa che al Cairo si superi la fase di stallo il Dipartimento di Stato, con il portavoce P. J. Crowley, getta acqua sul fuoco: «Nessuno pensa al dopo-Mubarak, è ancora il presidente dell’Egitto ed ha un ruolo vitale»."