Come preannunciato il Washington Post ieri ha pubblicato la prima parte di un’inchiesta sull’Intelligence americana (qui la seconda parte dal titolo “National Security Inc.” e qui la terza dal titolo “The secrets next door“) condotta da Dana Priest e William Arkin, due giornalisti investigativi specializzati nel settore della sicurezza nazionale. Il Washington Post ha creato un apposita pagina web con tanto di mappe, video e database.
L’inchiesta è durata un paio d’anni e, da quello che si può capire, ha scandagliato in profondità il comparto intelligence e le sue connessioni con le tante società private che lavorano per le Agenzie statunitensi.
Ho letto la prima parte. Gli autori evidenziano, con molti esempi, come dopo l’11 settembre il settore della sicurezza nazionale abbia avuto un vero e proprio boom. Sia nel pubblico che nel privato.
Tanto per dare alcuni numeri, secondo la Priest ed Arkin attualmente 1.200 organizzazioni pubbliche e quasi 2.000 private lavorerebbero nell’ambito di programmi riguardanti il controterrorismo, l’homeland security e l’intelligence. L’apparato complessivamente produrrebbe 50.000 report analitici ogni anno e ben 800.000 persone disporrebbero dei più elevati nulla osta di sicurezza. Dal 2001 ad oggi circa 263 organizzazioni sarebbero state create o ristrutturate. In due anni, da 2001 al 2003, il governo americano avrebbe riversato nel comparto circa 120 miliardi di dollari in soli fondi addizionali (e cioè oltre il normale budget, peraltro già molto elevato…).
Per farla breve, la Priest ed Arkin sostengono che il governo, negli ultimi nove anni, ha pompato il settore il quale è cresciuto in modo esponenziale al punto da essere ingovernabile. Dalle interviste ai funzionari incaricati emerge, ad esempio, che il numero dei programmi attivi e delle organizzazioni coinvolte è talmente ampio ed articolato (con relative duplicazioni e sovrapposizioni di competenze*) che probabilmente non esiste persona all’interno del comparto in grado di avere un controllo ed una visione completa. Di certo non il DNI.
Anche in base ai risultati tutto questo sarebbe causa di gravi inefficienze e, ovviamente, di uno spreco enorme di risorse pubbliche.
Vedremo cosa emergerà nei prossimi articoli. Nel frattempo qui e qui le risposte dell’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale.
Rassegna stampa in aggiornamento: il Corriere della Sera qui e qui, la Repubblica ed il Foglio.
*Basti pensare al cyber-warfare made in USA…