"Despite the large investment by most nations in their intelligence community their function in the decisionmaking process remains unclear".
Ad affermarlo è Ohad Leslau che, nel suo saggio pubblicato nell'ultimo numero di International Journal of Intelligence and Counterintelligence, analizza il rapporto tra intelligence makers e decisori tracciando, attraverso l'individuazione dei fattori determinanti, un "modello".
Premetto fin dall'inizio che Leslau non introduce sostanzialmente nulla di nuovo nel dibattito già esistente in questo specifico settore degli studi sull'intelligence ma il suo articolo ha ugualmente un grande pregio: tenta di estrarre una teoria dalla letteratura specialistica (testandola nel sistema di intelligence israeliano).
Uno dei limiti delle ricerche in questo settore, infatti, è proprio la mancanza di una teoria, di un modello. Come evidenziato dallo stesso Leslau "the majority of studies examine a single episode or a single decisionmaker, thus making a generalization about their conclusions beyond each specific study quite difficult".
Lo studio di Leslau si focalizza sull'impatto dell'intelligence sul processo decisionale. Quando il prodotto di intelligence è rilevante per il decisore? Quali sono i fattori di forza e di debolezza?
Secondo il ricercatore israeliano tre sono i fattori chiave che influenzano il rapporto intelligence-decisore: 1) il carattere del decisore, 2) il carattere dell'intelligence-maker, 3) lo status dell'organizzazione d'intelligence.
Nel primo caso ci si riferisce alla maggiore o minore apertura mentale del decisore.
E' evidente infatti che affinchè il prodotto di intelligence possa influire sul decisore questi dovrà essere recettivo, aperto, pronto a rimettere in discussione le proprie idee ed a confrontarsi con informazioni ed analisi eventualmente non in linea con la propria personale agenda.
Il secondo fattore riguarda il carattere dell'intelligence-maker. Leslau, attingendo a studi politologici, distinge tra un intelligence-maker che fornisce il proprio apporto in termini oggettivi ed indipendenti ed un intelligence-maker che invece tende ad assecondare le esigenze (politiche e/o personali) del decisore a scapito dell'oggettività (evitando, ad esempio, di esprimere opinioni che contraddicono il decisore oppure esprimendo volutamente decisioni che confermano le idee e gli obiettivi dello stesso).
Il terzo ed ultimo fattore attiene allo status del Servizio. "Intelligence scholars", scrive Leslau, "have been aware since the 1970s that the status of an intelligence organization within the bureaucratic hierarchy influences the extent and manner in wich intelligence contributes to the decisionmaking process". In poche parole, un Servizio che gode di rispetto e con una leadership ritenuta affidabile ed altamente professionale tenderà ad incidere sul processo decisionale maggiormente rispetto ad un Servizio poco rispettato e considerato poco professionale ed affidabile.
Leslau quindi classifica l'impatto dell'intelligence sul processo decisionale in quattro tipologie: 1) alto livello di influenza, 2) politicizzazione, 3) parziale accettazione e 4) completa separazione.
Il primo caso si verifica quando sussistono due condizioni indispensabili, un decisore recettivo ed aperto ed un intelligence-maker tendenzialmente oggettivo. Normalmente, afferma l'autore, si riscontra anche un terzo elemento e cioè un Servizio che gode di un elevato status ("The higher the status of the organization from a professional perspective, the greater its chances of influencing the decisionmaking process").
Si ha politicizzazione quando "the intelligence product is not designed to improve the quality of the decisionmaking process, but rather to enlist support for the existing policy or a preferred course of action already fixed by the decisionmaker". Ciò si verifica, secondo Leslau, quando il decisore è poco propenso ad accettare opinioni che siano in contrasto con i propri obiettivi e quando l'intelligence-maker è disposto ad assecondare le esigenze del decisore fornendo analisi ed informazioni in linea con tali obiettivi.
Un'accettazione parziale si verifica generalmente quando il prodotto d'intelligence viene recepito dal decisore nei suoi elementi fattuali e non nella componente analitica. Il decisore quindi accetta le informazioni contenute ma non l'interpretazione data alle stesse. Ciò accade, in genere, quando il Servizio (o la sua dirigenza) non gode di grande reputazione presso il decision-maker.
Si ha completa separazione quando un decisore "chiuso" nelle sue posizioni interagisce con un intelligence-maker oggettivo ed indipendente e non propenso ad assecondarlo. "The intelligence maker stands behind his opinion and insists on expressing it even if his assessments are not completely in line with those of the decisionmaker. Under these circumstances, the decisionmaker prefers to limit his contact with the intelligence maker".
Una piccola osservazione personale su quest'ultimo punto. Leslau non sembra tenere in considerazione l'ipotesi opposta ovvero il caso in cui il decisore, pur recettivo ed aperto interagisca con un Servizio di bassa qualità (o ritenuto tale). Anche in tal caso l'effetto potrebbe essere di totale distacco tra intelligence e decisore.
Formulata la teoria Leslau la testa empiricamente applicandola ad alcuni ben noti eventi storici che hanno coinvolto l'intelligence israeliana: la c.d. Guerra dei Sei Giorni del 1967 e la prima guerra in Libano del 1982.
Qui è forse riscontrabile un limite di questo saggio, la mancanza di una verifica più ampia e non limitata alla realtà israeliana.
Nel complesso comunque si tratta, a mio avviso, di una lettura gradevole ed interessante, molto utile soprattutto a chi non è ancora ad un livello avanzato in questi studi.
Da sottolineare l'abbondanza di bibliografia di riferimento cui attingere per ulteriori approfondimenti.
PS il saggio è a pagamento ma l'autore ha presentato alla conferenza annuale ISA del 2007 un paper che del saggio ne costituisce sostanzialmente la base.