Vi segnalo un articolo che ritengo piuttosto interessante per chi si occupa, per lavoro o studio, della delicata inter-relazione tra strutture di Intelligence e decisori politici.
Il titolo è "National Assessment by the National Security Council Staff 1968-80: An American Experiment in a British Style of Analysis?", di Stephen Marrin e Philip Davies ed è stato pubblicato nell’ultimo numero di Intelligence and National Security (è a pagamento).
E’ un saggio piuttosto tecnico e di non facile comprensione per chi non ha già una buona familiarità con il sistema americano (soprattutto) ed inglese. In parte, inoltre, riprende il discorso fatto qualche giorno fa sul ruolo del Joint Intelligence Committee britannico.
Si tenga presente che tale scuola di pensiero è stata quella dominante nella cultura dell’Intelligence USA (vedi il National Intelligence Council) al contrario di quella britannica dove, infatti, le strutture di vertice dell’apparato di Intelligence sono addirittura fuse all’interno del Cabinet, con una strettissima vicinanza, quindi, tra strutture di governo e strutture di intelligence.
Il saggio in questione punta a smontare la teoria "vicinanza=politicizzazione" e lo fa esaminando un interessantissima evoluzione nell’assetto organizzativo e procedurale dell’Intelligence USA avvenuta tra il 1968 ed il 1980.
In tale periodo il processo di analisi strategica d’intelligence venne incardinato all’interno dello staff del National Security Council, ovvero della struttura della Casa Bianca che è incaricata di consigliare il Presidente in materia di sicurezza nazionale (= politica estera e di difesa) e di coordinarne ed implementarne le decisioni.
In parole povere, vennero creati "drafting teams" misti composti sia da funzionari dell’Intelligence che da funzionari "politici".
A questo punto però urge un chiarimento. Nel sistema americano (a differenza di quello inglese ed in parte di quello nostro) ad ogni cambio di Presidente si verifica un consistente spoil-system.
I funzionari di livello medio ed elevato decadono e le posizioni vengono ricoperte da persone di fiducia del nuovo capo del governo (Obama, ad esempio, ha ricambiato più di 3.500 funzionari). E’ in tal senso, quindi, che si deve intendere il concetto di "funzionario politico" di cui sopra.
Tenendo ben presente questa rilevante peculiarità del sistema politico-amministrativo statunitense ciò che i due autori riscontrano è che la vicinanza tra intelligence e strutture di policy non solo non portò a "corruzione" degli analisti e delle analisi ma, anzi, permise agli assessments di essere considerati utili e rilevanti dal decisore politico. Cosa assolutamente non scontata…
Il titolo è "National Assessment by the National Security Council Staff 1968-80: An American Experiment in a British Style of Analysis?", di Stephen Marrin e Philip Davies ed è stato pubblicato nell’ultimo numero di Intelligence and National Security (è a pagamento).
E’ un saggio piuttosto tecnico e di non facile comprensione per chi non ha già una buona familiarità con il sistema americano (soprattutto) ed inglese. In parte, inoltre, riprende il discorso fatto qualche giorno fa sul ruolo del Joint Intelligence Committee britannico.
Negli Stati Uniti, fin dall’istituzione dell’attuale Intelligence Community, esiste una scuola di pensiero secondo la quale l’Intelligence dovrebbe essere il più distante possibile dal decisore in modo da non corrompersi.
La distanza garantirebbe indipendenza e terzietà degli analisti di intelligence i quali potrebbero quindi produrre analisi valide ed attendibili.
Si tenga presente che tale scuola di pensiero è stata quella dominante nella cultura dell’Intelligence USA (vedi il National Intelligence Council) al contrario di quella britannica dove, infatti, le strutture di vertice dell’apparato di Intelligence sono addirittura fuse all’interno del Cabinet, con una strettissima vicinanza, quindi, tra strutture di governo e strutture di intelligence.
Il saggio in questione punta a smontare la teoria "vicinanza=politicizzazione" e lo fa esaminando un interessantissima evoluzione nell’assetto organizzativo e procedurale dell’Intelligence USA avvenuta tra il 1968 ed il 1980.
In tale periodo il processo di analisi strategica d’intelligence venne incardinato all’interno dello staff del National Security Council, ovvero della struttura della Casa Bianca che è incaricata di consigliare il Presidente in materia di sicurezza nazionale (= politica estera e di difesa) e di coordinarne ed implementarne le decisioni.
In parole povere, vennero creati "drafting teams" misti composti sia da funzionari dell’Intelligence che da funzionari "politici".
A questo punto però urge un chiarimento. Nel sistema americano (a differenza di quello inglese ed in parte di quello nostro) ad ogni cambio di Presidente si verifica un consistente spoil-system.
I funzionari di livello medio ed elevato decadono e le posizioni vengono ricoperte da persone di fiducia del nuovo capo del governo (Obama, ad esempio, ha ricambiato più di 3.500 funzionari). E’ in tal senso, quindi, che si deve intendere il concetto di "funzionario politico" di cui sopra.
Tenendo ben presente questa rilevante peculiarità del sistema politico-amministrativo statunitense ciò che i due autori riscontrano è che la vicinanza tra intelligence e strutture di policy non solo non portò a "corruzione" degli analisti e delle analisi ma, anzi, permise agli assessments di essere considerati utili e rilevanti dal decisore politico. Cosa assolutamente non scontata…
In conclusione, è una letturina che vi consiglio, pur nella sua oggettiva complessità.
PS a furia di parlare di personale mi è venuta la voglia di esaminare con voi la strategia e la policy statunitense in materia di risorse umane dei Servizi di Intelligence….