di Domenico Quirico da La Stampa di oggi.
Piccoli relitti di colore bianco, un salvagente arancione, un recipiente, macchie di combustibile a 650 chilometri dall’isola brasiliana Fernando de Norohna, ultimo passaggio riconosciuto del volo 447 di Air France prima di affondare nel buio dell’Atlantico: sono a questi poveri stracci di un disastro avvistati nell’immensità dell’oceano che si appigliano le famiglie dei 228 morti, e la Francia, per sapere, capire, svelare il mistero.
Solo una spiegazione può assopire l’angoscia dei parenti che Air France porta e custodisce, via via che arrivano da tutto il mondo, in un albergo di Roissy: perché il loro dolore non sia fatto di grida, di pubbliche lacrimazioni. E’ un dolore dunque che si rifugia negli angoli, ha pudore, preferisce non farsi vedere; ma che oggi esploderà, senza un briciolo di verità, nella messa solenne fissata a Notre Dame.
I relitti sono stati trovati in una zona larga 5 chilometri, a mille chilometri dal Brasile e duemila dal Senegal. La loro posizione indica che l’aereo stava allontanandosi dalla rotta tracciata in linea retta tra Rio e Parigi, come se avesse cercato di sfuggire a un pericolo, di tornare indietro. Ma Air France si affanna a dire che «le indagini saranno lunghe», le possibilità di ritrovare le scatole nere, la guaina che custodisce probabilmente la verità, sono scarse: affondate come sono nella profondità dell’Oceano.
Per il ministero della Difesa francese, comunque, gli oggetti avvistati sono «elementi importanti» e alcune navi si stanno dirigendo verso il luogo dell’avvistamento: segno che, due giorni dopo, qualcosa sta emergendo da un orribile, e per molti versi inspiegabile, vuoto.
Perché con il passare delle ore la spiegazione che Air France ha fornito finora come ipotesi, ovvero un fulmine che in una zona di terribile tempesta avrebbe annientato i sistemi di controllo facendo precipitare l’Airbus 300, appare sempre meno credibile; persino in un Paese che è abituato nelle tragedie nazionali a fare mucchio patriottico.
Da lunedì pomeriggio però gli esperti, i tecnici dell’aviazione, gli ingegneri fanno staffetta per rammentare che un aereo non può essere ucciso da un fulmine, che ci devono essere altre cause che quanto meno hanno accompagnato i guasti del temporale e provocato la panne fatale. Anche la descrizione delle tempeste sull’oceano del Tropico del Capricorno non convince: decine di aerei hanno attraversato la zona senza danni, e anche la meteorologia delle ore in cui presumibilmente si è svolta la tragedia non appare così letale.
E’ soprattutto l’assenza di segnali di soccorso che solleva domande: spiegabile solo con un evento di tale enormità da aver tolto qualsiasi possibilità di reazione ai piloti. Un’esplosione della cabina: è il pensiero di tutti. Il ministro dei Trasporti Borloo e il premier Fillon ieri sono stati circospetti affrontando la parola «attentato». «Nessuna pista in questo momento può essere esclusa, compresa quella terroristica, anche se non ci sono per ora elementi. L’unica cosa certa – ha detto Fillon – è che non c’è stato nessun appello di soccorso inviato dall’aereo, ma solo allerta automatici raccolti per tre minuti che annunciavano che erano fuori servizio i sistemi dell’aereo».
D’altra parte, nelle stesse ore, un esperto italiano che preferisce l’anonimato avvalora l’ipotesi dell’esplosione: se si cade da 12 mila metri – sostiene – ci vogliono almeno sette minuti, durante i quali i piloti avrebbero avuto il tempo di comunicare la propria posizione.
Anche se nessuna osa pronunciarla la parola orribile scivola, si annida come un tintinnio in ogni ipotesi: e se fossimo di fronte a un attentato «muto», di quelli in cui gli autori non hanno come scopo di moltiplicare con la rivendicazione l’effetto di paura e la prova della propria potenza assassina?
I destinatari sono in questo caso lo Stato o i servizi segreti a cui si vuole lanciare un terribile avvertimento o una richiesta perentoria. E che hanno tutto l’interesse, a loro volta, sulla base della logica della ragion di Stato a non rivelare quanto è successo. Uno scenario delle guerre sporche di cui non è difficile trovare precedenti terribili.
Come non ricordare che i servizi segreti francesi hanno moltiplicato gli avvertimenti sulle minacce che pendevano sulla Francia? C’è un riferimento: l’Afghanistan, dove Sarkozy ha impegnato i soldati nella battaglia per fermare i talebani. Parigi è stata dunque minacciata: lasciate l’Afghanistan o la pagherete. Anche la creazione di una base militare negli Emirati ha immerso la Francia nei pericolosi scompigli del vicino oriente. I relitti dell’Atlantico dovranno rispondere a terribili domande. In fretta.