… in un articolo di Cremonesi sul Corriere della Sera.
Tempi di vacche magre anche per i soldati italiani. Anzi, non solo vacche magre: per loro si tratta ormai in molti casi di una vera lotta per la sopravvivenza. I tagli al bilancio dello Stato colpiscono soprattutto la macchina militare, con ripercussioni molto pesanti tra l’altro sulla capacità di impatto nel mondo per l’intera politica estera italiana. Per far comprendere la gravità della crisi per le casse dell’Esercito gli alti comandi fanno un esempio molto concreto. «È noto che uno dei veicoli più utilizzati ed apprezzati dalle nostre missioni all’estero in zone di conflitto è l’autoblindo Lince del-l’Iveco, che li fornisce anche ad altri eserciti, specialmente europei. Ottimo per la corazza a forma di tartaruga a difesa dalle mine nel terreno. Veloce e maneggevole. Ne abbiamo ordinati 1.150, che verranno consegnati a scaglioni entro il 2012. Al momento ne sono operativi 530. Di questi 243 sono impiegati dal nostro contingente in Afghanistan, altri 33 da quello in Libano. Ma ora ci troviamo nelle situazione per cui ben 180 mezzi sono guasti. E mancano i fondi per le riparazioni», sostengono ai comandi Interforze di Verona e quelli responsabili dell’intera logistica militare alla caserma centrale di Roma. Quattro conti, e non è difficile valutare le conseguenze dei tagli. Ogni Lince costa infatti 210.000 euro più iva. E si parla solo del mezzo nudo. Se si aggiunge l’equipaggiamento di base (radio, gps, climatizzatori, eccetera), neppure troppo sofisticato, la somma lievita a 290.000 euro più iva. La manutenzione, specie in regioni operative, supera i 15.000 euro annuali.
«Bloccare in garage 180 Lince significa dunque immobilizzare un capitale che oltrepassa facilmente i 54 milioni di euro. Noi contiamo di poter riparare con spesa relativamente bassa nel breve periodo una cinquantina di veicoli. Ma per altri 130 mancano decisamente i soldi», affermano i responsabili del parco macchine centrale.
Stesso ragionamento vale per gli elicotteri. L’Esercito ne possiede 246. All’estero ne sono stati inviati 23 (9 in Afghanistan, 6 in Libano, 8 nei Balcani). È inutile dilungarsi sulla validità dell’elicottero in zone operative, inclusi i casi di interventi d’urgenza per calamità naturali, dove i primi ad essere messi fuori uso sono gli aeroporti. Ma anche in questo caso la carenza di finanziamenti limita l’esercizio. «Per mantenere in efficienza tutti i nostri elicotteri abbiamo chiesto 110 milioni di euro annuali. Ne abbiamo ricevuti 15 per il 2009 e 10 per il 2010. Per fortuna le spese relative ai mezzi spediti nelle missioni all’estero vengono pagate con i fondi speciali stanziati di volta in volta dal Parlamento, altrimenti non potremmo neppure garantire quel servizio», spiegano i responsabili elicotteristi.
Un programma speciale è stato approntato anche per i piloti. Affinché possano operare necessitano di almeno 60 ore di volo di addestramento all’anno. Ma unicamente coloro che vengono impiegati in missione (si parla di poche decine) godono di un tale trattamento. Per gli altri le ore di volo variano tra 30 e zero. Solo il 30 per cento degli elicotteri è oggi considerato operativo.
«La situazione è semplicemente drammatica. Il nostro Esercito non solo non riesce a pianificare investimenti di lungo periodo, ma non può neppure permettersi il livello di efficienza attuale, che è già basso e in netta picchiata. Ne risente in modo estremamente grave la nostra politica estera. Perché, se è vero che oggi le missioni militari in ambito Nato, Onu o altro, sono diventate importantissime per qualsiasi Paese che aspiri ad un ruolo internazionale, con le risorse a disposizione l’Italia è inevitabilmente destinata a contare sempre meno», sostiene Barbara Contini, membro della Commissione Difesa del Senato per il Pdl, esperta di missioni all’estero per essere stata a lungo nella ex Jugoslavia e governatrice a Nassiriya. E aggiunge, riferita ai tagli del 4 per cento agli stanziamenti per l’Esercito decisi nell’agosto scorso dalla Finanziaria: «Quei tagli non si dovevano fare. I nostri soldati ricevono per il 2009 oltre 800 milioni di euro in meno rispetto al 2008 e con prospettive di tagli maggiori per i prossimi anni. Ciò significa che la voce Difesa rappresenta oggi lo 0,66 per cento del nostro prodotto interno lordo. Troppo basso. Non sogno neppure di guardare ai bilanci americani, dove gli stanziamenti dedicati ai militari sono ben oltre il 4 per cento del Pil. Ma riterrei giusto uniformarci alle medie dei Paesi Nato, che sono circa il 2 per cento», aggiunge la senatrice.
Un discorso il suo che raccoglie consensi in modo trasversale tra coloro che, nelle due Camere, si occupano di esercito e missioni all’estero. Tecnici e militari stanno letteralmente facendo i salti mortali per adattare le poche risorse disponibili alle richieste della politica. «Da quando venne abolita la leva, in pratica dal 1996, si è lavorato per definire che dimensione avrebbero dovuto avere le nuove forze della difesa italiana. E nel piano 2004-5 è stato deciso che il nostro Esercito avrebbe avuto in tutte le sue articolazioni non oltre 190.000 uomini. Oggi ne contiamo 184.271. Ma con il budget attuale sono troppi, non li possiamo mantenere. Diminuendo i soldi a disposizione siamo costretti a tagliare. E la nostra logica è semplice: delle tre voci di spesa — stipendi, investimenti ed esercizio — andiamo soprattutto a decurtare quest’ultimo, che significa meno addestramento, meno esercitazioni con i nostri alleati. Insomma un esercito poco pronto», ammettono ancora gli ufficiali della logistica.
E i responsabili di fanteria e truppe corazzate sono ancora più specifici: «Abbiamo chiesto 70 milioni di euro per gli addestramenti ordinari di circa 80.000 uomini, per lo più spese di carburanti e munizionamento. Ma dal 2006 ne abbiamo ricevuti 2 all’anno, 68 in meno di quelli richiesti. Che possiamo fare?». Una delle conseguenze più dirette è che gli addetti alla contraerea non sparano praticamente più. Per le missioni estere si dipende interamente dai finanziamenti straordinari. Ma c’è già chi pensa a come ottimizzare le forze dei circa 9.100 uomini impegnati in 33 missioni per 21 Paesi (di cui 8.700 in zone operative). Perché anche in questi scenari i tagli si fanno sentire. In Afghanistan da 2.400 soldati italiani si è già passati a 2.795 e il numero potrebbe salire ancora per garantire le elezioni previste in agosto. Gli stanziamenti dal primo gennaio al 30 giugno 2009 sono di 242 milioni e 368 mila euro, circa 10 milioni in più rispetto allo stesso periodo del 2008. Un modo per risparmiare potrebbe essere chiudere la piazza di Kabul (dove ora si trovano circa 500 soldati) e concentrare l’intero contingente ad Herat.
I quasi 2.500 uomini impiegati nel Libano meridionale hanno ricevuto per i primi sei mesi del 2009 circa 192 milioni di euro, pari in media ad un milione al mese in meno rispetto al 2008. «Un contingente costoso e sovradimensionato », sostenevano diversi rappresentati di maggioranza ed opposizione del Senato dopo una recente visita sul posto. E c’è chi progetta di ridurre il contingente di «alcune centinaia di uomini» per poterli rendere disponibili nel caso si proponesse una forza internazionale di pace tra Israele e la striscia di Gaza.