Tempo fa avevo annunciato la recensione di due libri appena usciti. Dato che ogni promessa è debito ho deciso di rompere gli indugi e mantenere l’impegno iniziando dall’Handbook of Intelligence Studies.
Due parole sul libro. Si tratta di una raccolta di 26 saggi, raggruppati in 6 capitoli (lo studio dell’Intelligence, l’evoluzione dell’Intelligence moderna, il ciclo dell’Intelligence e la ricerca informativa: pianificazione, raccolta ed elaborazione, il ciclo dell’Intelligence e la produzione di reports: analisi e disseminazione, contro-intelligence e covert action, il controllo dell’Intelligence), che affrontano i punti principali della materia con un focus sul livello strategico dell’Intelligence1. Gli autori sono tra i principali esperti di Intelligence anglosassoni (in gran parte “tecnici”). Stati Uniti in primis. Robert Steele, Stephen Marrin, Lock Johnson, James Wirtz, Richard Russell, Michael Warner, Peter Gill, Ian Leigh ed altri.
La prima critica che ritengo si possa fare riguarda proprio il ‘taglio’ del volume. Il testo, almeno dal titolo, si presenta come un manuale. Leggendolo però risulta abbastanza evidente che non di manuale si tratta quanto, appunto, di una raccolta di saggi. Peccato perché sarebbe stato sicuramente molto interessante un manuale di intelligence scritto da così tanti esperti e di tali capacità.
La seconda critica, invece, riguarda il prezzo. Il volume è costoso (ben 200 dollari) ma in compenso è disponibile sia presso la Biblioteca della Camera che presso quella del Senato. A meno che non siate parlamentari, però, il libro potrà essere solo consultato e non preso in prestito. In entrambe le biblioteche, comunque, sono disponibili ottime macchine fotocopiatrici (nel pieno rispetto dei diritti d’autore… of course…)
Per meglio recensire il libro ho deciso di analizzarlo capitolo per capitolo. Almeno i più importanti. Ma anziché cominciare dal primo, spinto dai recenti eventi indiani, inizierò dal tredicesimo (non è che porta sfiga…!?!), quello dedicato al warning strategico.
L’autore è Jack Davis. Funzionario di lungo corso della CIA, ha ricoperto diversi incarichi sia come analista che come dirigente. La sua biografia segnala che è stato anche docente presso la scuola di formazione degli analisti. Scrive spesso, tutt’ora, sull’ottima rivista della CIA, Studies in Intelligence, e proprio su questo argomento sono disponibili online alcuni suoi articoli (anche qui).
Davis scrive il suo saggio interamente da una prospettiva americana. Anzi, meglio, da una prospettiva CIA.
L’autore racconta infatti l’esperienza della CIA nel campo del warning strategico e riflette su come potenziare questo specifico settore (soprattutto dopo l’11 settembre).
Tutto il saggio ruota attorno a tre concetti di base: (1) l’importanza del warning di livello strategico, (2) la necessità di potenziare questa specialità all’interno della CIA e (3) di coinvolgere il più possibile il decisore politico.
L’importanza del warning di livello strategico
Davis distingue (ovviamente) tra warning tattico e warning strategico. Il primo “focuses on specific incidents that endanger US security interests, such as military attack, terrorism, developments regarding weapons of mass destruction, illicit transactions, and political crises abroad. Tactical warning analysis” afferma ancora Davis “is usually characterized by a search for and evaluation of diagnostic information about incident, perpetrator, target, timing, and modalities”2. Il secondo, invece “aims for analytic perception and effective communication to policy officials of important changes in the character or level of security threats that therefore require re-evaluation of US readiness to deter, avert, or limit damage – well in advance of incident-specific indicators. Thus, strategic warning is characterized by inferential evidence and general depiction of the danger.”3
Il ragionamento di Davis è molto semplice. L’allarme strategico serve (1) ad allertare il sistema mettendolo in condizione di lanciare con precisione l’eventuale pre-allarme tattico e (2) ad innalzare le misure difensive (compiendo eventualmente azioni preventive) in modo da rendere più difficile la sorpresa tattica e, nel caso in cui questa si verificasse ugualmente, in modo da limitarne i danni. Insomma, detto molto semplicemente, l’allarme strategico serve ad evitare di farsi prendere con la guardia abbassata mettendosi, guardinghi, in posizione di combattimento.
La conclusione dell’autore, ovviamente, è che per l’efficienza di un generale sistema di warning la capacità (strutture + procedure) di early-warning strategico è imprescindibile. Il sistema infatti non può funzionare bene se si basa solo sul livello tattico tralasciando quello strategico.
La necessità di potenziare questa specialità all’interno della CIA
Per Davis le capacità di pre-allarme strategico della CIA sono, nella sostanza, inadeguate.
Ciò per due motivi: 1) maggiori risorse a favore del livello tattico rispetto a quello strategico (secondo Davis in rapporto di 100 ad 1); 2) riduzione dell’expertise strategica durante gli anni Novanta. L’autore spiega che per una precisa volontà politica dopo la fine della Guerra Fredda vi è stato un consistente taglio del personale analitico all’interno della CIA. Gli analisti in pensione non venivano rimpiazzati e questo ha danneggiato proprio la capacità di analisi strategica4.
Davis sostiene, quindi, che è necessario potenziare le capacità di warning strategico (1) attraverso l’inserimento di analisti strategici all’interno delle unità di analisi tattica e (2) attraverso un consistente miglioramento delle procedure e delle metodologie analitiche. Anche attraverso il ricorso alle c.d. “tecniche alternative”, con particolare riferimento all’High Impact- Low Probability Analysis.
Coinvolgere il più possibile il decisore politico
Il ragionamento di Davis è molto semplice. Così come è necessario che gli allarmi siano lanciati è altrettanto necessario che gli allarmi siano correttamente recepiti e producano “policy actions”. L’Intelligence insomma, in versione molto semplificata, è un dialogo tra due soggetti: l’analista ed il decisore. Le vulnerabilità di questa relazione possono essere molteplici, una tra queste è l’irrilevanza delle analisi di intelligence nell’ambito del processo decisionale nazionale (la letteratura americana affronta di continuo questo problema).
Per ovviare, o quantomeno limitare, il problema Davis consiglia di coinvolgere il decisore politico in più fasi del ciclo di intelligence. In fase di programmazione ed assegnazione delle risorse il decisore dovrebbe indicare quali sono le minacce i cui sviluppi, dal suo punto di vista, andrebbero monitorati. In fase analitica il decisore dovrebbe conoscere le tecniche e le metodologie adottate.
Ciò, secondo l’autore, aumenterebbe le interrelazioni e la fiducia tra i due soggetti (Davis indica il Joint Intelligence Committee britannico come modello di organizzazione dei rapporti intelligence-decisore).
Il Warning strategico, quindi, per Davis non è una responsabilità della sola Intelligence bensì del Governo complessivamente considerato (“as a governmental responsibility rather than an intelligence responsibility”) e come tale deve essere strutturata.
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1. “In this volume, the focus is chiefly on strategic intelligence, that is, the attempts by leaders to understand potential risks and gains on a national or international level”, pagina 1.
2. Pag. 175
3. Ibidem.
4. A conferma di ciò, solo come esempio, si veda “Sharpening Strategic Intelligence” di R. Russel.