Gentilmente indicato da Beppe:
"Roma, 16 ott (Velino) – Sono mesi che gli analisti dei nostri servizi segreti stanno monitorando i flussi degli investimenti fra i diversi paesi e dall’estero verso l’Italia e hanno informato la presidenza del Consiglio sui rischi che potremmo correre per le scorrerie dei “fondi sovrani”. I “paesi emergenti” come vengono definiti dall’Aisi (Agenzia per l’informazione e la sicurezza interna) quasi tutti ricchi di risorse petrolifere, hanno accumulato in meno di un anno risorse finanziarie tanto ingenti grazie all’aumento dei prezzi del barile che possono attraverso i “fondi sovrani di investimento” ( Sovereign Wealth Funds) scalare società ed imprese in tutto il mondo. Per i nostri servizi segreti l’attività di “gestione patrimoniale ‘sovrana’ pone interrogativi relativi sia all’interesse nazionale sia alla sicurezza nazionale degli Stati oggetto degli investimenti. L’incremento della partecipazione straniera in un settore dell’economia interna è sicuramente un problema di interesse nazionale. Ma vi è anche il rischio – secondo l’Aisi – che i piani di investimento di un fondo sovrano possano anche ‘nascondere’ progetti di controllo di tecnologie (di natura industriale, finanziaria o militare) del paese ove il fondo sovrano investe, o di acquisizione di ‘posizioni dominanti’ in imprese detentrici di brevetti, o di controllo a ‘fini ostili’ di infrastrutture critiche (telecomunicazioni, energia o porti) o di accesso alla risorse naturali, considerate strategiche in quanto ‘leve di comando’ dell’economia nazionale”.
Gli analisti dell’Aisi suggeriscono per questo che “in Italia si proceda ad una valutazione ponderata sulle modalità tramite le quali ‘contenere’ i rischi di ingerenza insiti negli investimenti sovrani…Ciò al fine di limitarsi a dover fronteggiare solo gli effetti a medio-lungo periodo termine del fenomeno. Una quota significativa dei settori finanziari dei paesi industrializzati sta, infatti, passando nelle mani di società e governi di paesi emergenti. A questo ‘trasferimento di potere economico’ corrisponderà nei prossimi anni un ‘trasferimento di potere politico e diplomatico’ con il quale dovremo, inevitabilmente, relazionarci”. Come potrà l’Italia gestire l’ingerenza dei fondi sovrani “ostili”? La alternative allo studio sono due. La prima: “Un insieme di ‘best practices’ internazionali (soluzione soft, dove l’aggettivo corrisponde alla considerazione in sé multilaterale) degli aspetti minimi di un investimento sovrano che possano collidere con gli interessi nazionali”. La seconda: “Il miglioramento di regolamentazioni già esistenti o l’introduzione di altre non presenti (soluzioni ‘hard’, dove l’aggettivo corrisponde alla difficoltà applicativa causata dai contrasti che diverse lobby creerebbero)”.
Il nostro governo fino a qualche mese fa era orientato verso la soluzione soft, verso un accordo internazionale basato cioè “su alcune best practice da applicare agli investimenti sovrani tali da garantire un livello minimo di trasparenza informativa pur senza scoraggiare gli investimenti stessi”. La soluzione hard, che nelle ultime settimane (dopo gli avvenimenti nel campo della finanza mondiale) alla luce del crollo delle quotazioni azionarie anche delle nostre migliori aziende sta raccogliendo molti consensi, “richiederebbe il miglioramento delle regolamentazioni nazionali, comunitarie e internazionali, relative a fenomeni già esistenti (come ad esempio gli hedge funds), calibrandole agli aspetti innovativi introdotti dai ‘fondi sovrani’”. La soluzione soft auspicata dall’Ue almeno fino a marzo scorso (se ne è discusso al Consiglio europeo del 13 e 14 marzo che varò il documento “ A common european approach to Soveraign Wealth Funds”) si basa sul presupposto che è necessario evitare una “risposta non coordinata ai Fsi, agevolando ed incentivando..la cooperazione dei Paesi membri nella formulazione dei un ‘codice di condotta’ allo studio del Fmi e dell’Ocse”.
Le linee di risposta europee sono sostanzialmente tre. Quella rappresentata da Parigi che vorrebbe privilegiare “una ‘risposta comunitaria diretta’ ai Fsi” e, di Londra, che invece preme per un “‘adeguamento’ al codice di condotta multilaterale”. La terza posizione è quella della Germania. La Merkel sta predisponendo una “riforma della propria legislazione interna ( il Foreign Business Act) a protezione delle società tedesche da parte di Stati esteri attraverso investimenti sovrani”. Quest’ultima soluzione sembra trovare consensi anche nel governo italiano."