… secondo Fareed Zakaria, intervistato dal Corriere della Sera.
Io adoro (e ammiro) quest’uomo…
Un’Italia a rischio Disneyland
Fareed Zakaria: «Grandi alberghi e monumenti, ma una società corrotta e immobilista da Terzo Mondo»NEW YORK — In un articolo apparso su Newsweek nel 2003, Fareed Zakaria aveva messo in guardia dai rischi di un «mondo unipolare» dominato da una sola potenza globale: l’America. Nel suo nuovo libro L’era post-americana, in uscita da Rizzoli a metà settembre, il quarantreenne scrittore-giornalista di origine indiana, considerato uno dei più autorevoli opinionisti internazionali, traccia una dura analisi della crisi americana a ridosso delle elezioni presidenziali, paventando un futuro senza Occidente, in cui il baricentro del potere e dell’economia si sposterà verso Est e verso Sud. «Siamo alle soglie di una svolta epocale — scrive Zakaria, che oggi dirige l’edizione internazionale di Newsweek — perché la stasi economica degli Stati Uniti condurrà presto il Paese al declino politico e segnerà la rapida ascesa della Cina e di altri Paesi oggi in via di sviluppo. Ma se interveniamo subito la caduta può essere frenata». «L’11 settembre ha accelerato il declino dell’America come unica superpotenza — spiega l’autore al Corriere —. Anche se si tratta di un processo graduale e la fine non sarà domani, il resto del mondo deve prepararsi».
L’era post-americana sarà dunque dominata da ciò che egli chiama «l’ascesa degli altri», dove «gli altri» sono nazioni quali Cina, India, Brasile e Turchia, pronti a scavalcare gli Usa. Il sorpasso in certi campi è già avvenuto. «Londra ha rimpiazzato New York come capitale finanziaria del pianeta proprio perché più vicina a quei mercati come fuso orario», afferma. «Il Brasile avanza a passi da gigante grazie alla sua superiorità agricola, in un mondo in cui le derrate alimentari sono sempre più scarse e costose». Ma il vero terremoto geopolitico è l’ascesa della Cina. «Basta guardare alla gara Cina-India, che si è conclusa con la clamorosa sconfitta di quest’ultima. Oggi l’economia cinese è il triplo di quella indiana». Nel suo nuovo libro, l’autore di Democrazia senza libertà (Rizzoli, 2003) paventa lo spettro di una nuova guerra fredda fra Stati Uniti e Cina. «La nascita di una nuova superpotenza è un evento raro e traumatico. Basti pensare che la maggior parte delle grandi potenze di oggi, Francia, Gran Bretagna, Germania, erano già tali due o persino quattro secoli fa».
La sfida cinese è più rilevante di quella rappresentata un tempo dal socialismo sovietico, «oppressivo ed economicamente collassato», che si reggeva «solo grazie alla straordinaria ricchezza di risorse naturali». Pechino, al contrario, possiede «un’economia potente e dinamica; una società demograficamente e tecnologicamente in esplosione». Proprio per questo, secondo Zakaria, all’America converrebbe che la Cina rimanesse una dittatura: «Gli Usa sanno come combattere un regime tirannico, appellandosi alla superiorità morale conferita dal loro sistema democratico, per definizione migliore».
E il ruolo dell’Europa? «La bocciatura del trattato di Lisbona da parte degli irlandesi ha confermato che anche nel vecchio continente ricchezza e globalizzazione hanno ampliato in maniera esponenziale, piuttosto che ridurli, il nazionalismo e il regionalismo. L’Europa continuerà a esistere come formidabile potenza economica, ma l’unità politica e militare non avverrà mai, perché gli europei non la vogliono». Il risultato sarà «una diminuzione d’influenza e prestigio a livello mondiale». «L’Europa non farà parlare di sé come continente — spiega Zakaria — ma come Francia, Germania o Inghilterra». Della Russia, Zakaria loda la politica pro-immigrazione «lungimirante e progressista quanto quella degli Usa», che, nonostante tutte le critiche da più parti, «continuano ad attrarre più immigrati di tutti gli altri Paesi del pianeta messi insieme». Eppure, guardando dentro la sua sfera magica, il futuro della Russia non gli appare roseo. «Non è destinata a diventare la grande potenza che molti temono. Farà parlare di sé, ma per via dei suoi enormi problemi, non dei trionfi. Ha troppi vicini di casa storicamente problematici, Cina, Paesi islamici, Europa, che continueranno a darle filo da torcere».
Nel suo libro Zakaria imputa all’America, «democrazia contagiosa», la responsabilità dell’ascesa degli «altri». «Quando vai in giro per il mondo perorando l’apertura dei mercati e la creazione di sistemi pluralistici, finisci per creare un esercito di rivali. Ma che alternativa esiste? Forse mantenere un mondo di poveri e oppressi allo scopo di essere meglio di loro?». Mentre i Paesi in via di sviluppo si emancipano e democratizzano, alcune ex grandi nazioni della vecchia Europa rischiano di retrocedere a livelli da Terzo Mondo. «È il caso dell’Italia — spiega lo studioso americano — che rischia di trasformarsi in una Disneyland culturale, con begli alberghi e splendidi monumenti che potrebbero diventare l’effimera verniciatura per nascondere una società corrotta e immobilista da Terzo Mondo». Secondo Zakaria, la colpa va attribuita a «un’unificazione nazionale troppo recente, che ha prodotto un Paese diviso e frammentato». E a un sistema politico «completamente disfunzionale, creato dagli americani dopo la Seconda guerra mondiale per evitare l’ascesa di un altro Mussolini», ma che, di fatto, avrebbe portato il Belpaese alla «paralisi politica e sociale». «In quale altra nazione al mondo il primo ministro ha le mani altrettanto legate?» si chiede Zakaria. E prosegue: «Il capo del governo da voi assomiglia a una sorta di bizzarro e svagato amministratore delegato, privo di autorità esecutiva».
«L’Italia ha il Parlamento demograficamente più vecchio del mondo — incalza Zakaria — perché non riesce ad attrarre gente giovane e brillante. Il sistema partitico non funziona e quello politico è completamente collassato». Eppure una ricetta lui l’avrebbe: «Primo: cambiare la struttura del governo, per conferire al presidente del Consiglio una vera autorità esecutiva, simile a quella del premier britannico. Secondo: riformare subito il sistema elettorale, sulla falsariga di quello bipartitico americano, per dar vita a coalizioni coese e a una maggioranza chiara, eliminando la follia che caratterizza il Parlamento italiano per colpa dei piccoli partiti». Secondo Zakaria, una volta fatta piazza pulita dell’attuale leadership, «l’Italia si raddrizzerebbe subito, perché gli italiani non sono intrinsecamente più indisciplinati o corrotti degli altri. Basta guardare a Singapore, che quarant’anni fa era uno dei luoghi più sporchi e corrotti del mondo. O al Cile, irriconoscibile rispetto a trent’anni fa. O persino all’Iraq, che due anni fa era un inferno e dove oggi il progresso corre grazie al cambiamento di leadership». Zakaria è convinto che la guerra in Iraq non sia stata negativa come l’opinione pubblica europea continua a credere. «Grazie alla guerra, Al Qaeda è stata smascherata per ciò che realmente è: una banda di sunniti reietti e fondamentalisti che odiano gli sciiti. Altroché voce dell’Islam».
Persino Israele, a suo avviso, oggi è più forte che mai: «Quando gli israeliani si preoccupano delle boutade di Ahmadinejad, si scordano che quarant’anni fa tutti i leader arabi parlavano come lui una volta alla settimana, non una all’anno. Il presidente egiziano Nasser minacciava di buttare tutti gli ebrei in mare a ogni preghiera del venerdì sera». Zakaria lancia un appello ai paesi del mondo, «che siano essi Israele, l’Italia o gli Usa», affinché «resistano agli impulsi della paura». «Quando la politica è dettata dal panico è sempre irrazionale, pericolosa e a lungo termine indebolisce sicurezza e stabilità. Creando un mondo più vulnerabile. Mi rivolgo soprattutto all’Italia, dove la paura degli immigrati rischia di isolare la nazione dal resto del mondo e ciò sarebbe una catastrofe. Perché la patria di Dante e Michelangelo è stata storicamente grande proprio in quanto crocevia di culture e melting pot invidiabile e unico».